Un pizzico però aiuta a predisporsi alla buona sorte perché, come diceva Eduardo, crederci è da ignoranti ma non esserlo porta male. Numerosi anche i politici ossessionati da numeri infausti o gesti scaramantici
(di Cesare Lanza per LaVerità) Ancora una volta, non volendo essere accusato di una nociva esaltazione per il gioco d’azzardo, vorrei mettervi in guardia. Con un sorriso. Ricordate la vecchia barzelletta di Gino Bramieri? Al casinò un tizio esce in canottiera e mutande. Gli chiedono: «Senti, è andata male, eh?» E quello: «Sì, ma per fortuna ho saputo fermarmi in tempo». Vi parlerò oggi di uno dei pericoli più insidiosi in qualsiasi tavolo verde: la superstizione. Tutti i giocatori ne sono consapevoli, eppure quasi tutti non riescono ad evitarla. «Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male», diceva Eduardo De Filippo, ricordato come un giocatore formidabile, in particolare a chemin de fer. Ho scritto tante volte che l’azzardo non è appostato solo nelle case da gioco o nelle partite ai tavoli verdi: dobbiamo farci i conti dovunque e comunque, nella vita d’ogni giorno. Consapevoli o no, ci misuriamo con rischi minimi o anche potenzialmente devastanti o definitivi. Sposarsi, mettere al mondo un figlio non è rischioso? Ed entrare in politica o assumere un incarico pubblico? Continuate a vostro piacimento, ma non dimenticate i rischi della banale quotidianità: guidare l’auto, attraversare la strada, una nuotata, una escursione in montagna, la puntura di una vespa, una febbre insignificante… Forse per questo gli scongiuri dilagano! Niente predicozzi però. Il pulpito (il mio, anche se cerco di non salirci mai) non sarebbe credibile. E dunque confesso: sono superstizioso anch’io. Non potete immaginare quante cravatte abbia regalato cinicamente a falsi amici, o conoscenti antipatici e molesti, dopo averle indossate una volta sola e aver constatato che mi avevano propiziato giornate nate storte e finite peggio. E anche in questo momento sto incrociando le dita, perché non sono sicuro che scrivere di personaggi superstiziosi mi porti bene. Comincio dai politici: non solo quelli italiani sono di verace superstiziosità.
Celebri le corna di Giovanni Leone, napoletano, che sollevò senza problemi indice e mignolo (più di una volta), ad esempio per far le corna a studenti che manifestavano e gli auguravano la morte. Cosa contestargli? Le corna sono uno storico antidoto di stile italiano. Anche Benito Mussolini faceva le corna, insieme con altri scongiuri, quando incontrava i ministri inglesi, ad esempio Anthony Eden. E pure l’austero Carlo Azeglio Ciampi le usò. per scacciare gli uccelli del malaugurio quand’era ministro del Tesoro. Fascisti o comunisti, la superstizione trova diversi praticanti: Palmiro Togliatti toccava ferro, per premunirsi nascondeva in tasca qualche chiodo. Oggi Clemente Mastella lo nega, ma a certi incontri politici arrivava sempre col conforto di un corno. L’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo si indispettiva nel sentire il ticchettio di una penna o di un tacco; e soprattutto prendeva l’ascensore, sempre, da solo. Silvio Berlusconi non ama le barbe, forse le considera di sinistra, ma c’è chi dice che in realtà è solo un problema superstizioso. Quanto a corna, ci sono memorabili foto ricordo (in compagnia di celebri personaggi) che ne danno testimonianza. Giulio Andreotti era notoriamente un accanito giocatore alle corse dei cavalli, secondo il suo stile studiava tutto, si documentava… e in tasca nascondeva amuleti segreti. Dicono che Alessandra Mussolini sospettava che una sua rivale in Parlamento con sguardi malevoli fosse riuscita ad attaccarle il mal di schiena: per difendersi nascose un amuleto tra i capelli. Il superstiziosissimo Licio Gelli, pur essendo a capo della potentissima loggia P2, si tutelava religiosamente tenendo nel portafoglio l’immaginetta che gli aveva regalato Madre Teresa. Ai giorni nostri Matteo Renzi, all’epoca ancora premier, è stato impietosamente additato sui social network come un autentico Portasfiga. In quattro giorni, a Rio per le Olimpiadi in Brasile, ci fu un disastro per i nostri atleti: niente vittorie e poche medaglie, continui incidenti. E quando finalmente Renzi ripartì, un botto trionfale di successi azzurri.
Francesco Cossiga distingueva tra iettatore e menagramo: «Il primo fa male a sé e agli altri, mentre il secondo solo agli altri. Così si potrà andare in aereo con un menagramo, ma mai con uno iettatore», sentenziava. L’ex leader della Lega, Umberto Bossi, aveva messo fuori la porta un crocifisso di legno: lo accarezzava tutte le mattine uscendo di casa, perché – così pensava – gli portava fortuna. Elisabetta d’Inghilterra, nel 1965, per una visita a Duisburg, nell’ex Germania dell’Est, pretese di cambiare il numero del binario d’arrivo del treno: il marciapiede numero 13 si trasformò in 12/A. Sulla scrivania all’Eliseo l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy custodiva sempre un quadrifoglio. E Bill Clinton, prima di decisioni importanti, «si faceva leggere i tarocchi dalla sua maga di fiducia». Di più: durante la campagna elettorale del 2008 Barack Obama – rivelò il Daily Mirror – non si staccava da una spilla a forma di aquila con la testa bianca, simbolo degli Usa, ovviamente come portafortuna. Ci sono poi dilemmi insoluti: se ti cadono addosso gli escrementi di un piccione è un segno di iella o di fortuna? Francois Hollande, presidente francese, l’ii gennaio 2015, durante una manifestazione, maledisse che un piccione gli avesse lasciato un ricordino sulla spalla: ci fu una tromba d’acqua. E invece non mi stanco di testimoniare a favore dei bisognini dei piccioni. Nell’agosto 1982, mentre stavo per entrare nel casinò di Evian les bains, e indossavo un’abbagliante giacca bianca, fui investito da una mitragliata di amici piccioni. Rifiutai di cambiare giacca, entrai nelle sale da gioco e mi avvicinai alla roulette: ebbene, uscivano di continuo numeri per me vincenti. Non mi staccai più da quella giacca e mi ci volle un bel coraggio a ripropormi, sporco di escrementi, in altri casinò, sempre con esiti positivi! Non ci credete? Vi do anche un riscontro: mia moglie, stufa, portò la giacca in lavanderia e la fortuna da quel momento prese altre direzioni. E i numeri? La regina Caterina de’ Medici, sposa di Enrico II, era superstiziosa: a un pranzo di gala in suo onore a Parigi, nel 1549, pretese che i cibi dovessero essere divisibili per tre, il suo numero perfetto: «33 arrosti di capriolo, 33 lepri, 6 maiali, 66 galline da brodo, 66 fagiani, 3 staia di fagioli, 3 staia di piselli e 12 dozzine di carciofi». La regina Maria Antonietta era invece suggestionata dal numero 4. Si sposò il 16 maggio (16=4×4) con Luigi XVI (16=4×4), venne ghigliottinata il 16 ottobre (16=4×4). Il presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower odiava il numero 7: in quel giorno non prendeva decisioni importanti, mai pranzi ufficiali. E tuttavia il suo amuleto era un piccolo numero 7 di metallo, fin da quando faceva il servizio militare. Mentre Gabriele D’Annunzio detestava il numero 13, come milioni di altri superstiziosi (altri milioni non possono soffrire il 17); se il Vate doveva scrivere quella data si tutelava con un 12+1. Infine, è corretto ricordare quanto siano ignobili le conseguenze di alcune dicerie superstiziose: guai ad essere bollati come una persona che porti sfortuna.
Questa persecuzione avvenne nel mondo della musica leggera contro due grandi cantanti: Mia Martini, che ne fu devastata; e Marco Masini, che invece si salvò affrontando di petto le insinuazioni. Le maldicenze verso Mia si accesero a causa di un incidente stradale in cui morirono due suoi musicisti, nel 1971, e la tormentarono, fino al suicidio. La diceria su Masini invece era nata forse per il pessimismo di alcune sue canzoni. Un giornale, per il suicidio di un ragazzo, titolò: «Ascolta Masini e s’ammazza». Marco si ribellò: denunciò che nessuno lo invitava mai in tv. Nel 2001 annunciò il ritiro. Per fortuna continuò e tre anni dopo vinse il festival di Sanremo. Conclusione? Un pizzico di superstizione aiuta a predisporsi alla buona sorte. La Treccani ci informa che l’aggettivo superstizioso è qualcuno che accetta e segue credenze e pratiche che costituiscono superstizione: la magia di cui si parla è una fantasia della mente ingenua, ha scritto Umberto Eco. E si parla anche dell’avversione con cui si considera superstiziosamente il numero 13 (o il 17). Il 17? Ve lo racconto io… Per quanto mi riguarda, una sera di molti anni fa mi trovai coinvolto in una partita a chemin de fer, al casinò di Venezia. Una sfortuna mai avuta, una persecuzione degli dèi del gioco. In tutti i casinò del mondo chiudono per penultimi i tavoli della roulette e si prosegue a oltranza con lo chemin. E così anche quella notte a Venezia. Fu annunciato l’ultimo colpo a due tavoli di roulette, uno a fianco all’altro. Mi erano rimasti in tasca due gettoni e puntai su tutti e due i tavoli il 17, un solo gettone di qui, un solo gettone di là e mi raccomandai col pensiero alla mia prima moglie, una specie di strega buona e generosa: il suo numero preferito è il 17. Non so come mi venne in mente la puntata, disperata. Una puntata su un numero solo, una probabilità di vincere su trentasette. Ebbene: bum bum! Le due palline delle due roulette caddero quasi contemporaneamente… 17,17. Una botta di fortuna mai vista (e mai la rivedrò), una grossa vincita: mi ero rifatto. Pensate che, felicemente, scappai dal casinò, avendo recuperato tutto? No. Un giocatore vero, e io credo di esserlo stato in antichi tempi felici, è cocciuto e anche un po’ idiota. Tornai al tavolo da chemin… Avrete già intuito il triste finale: di nuovo, inesorabilmente, persi tutto.