La corsa a sindaco: io candidato del centro? No, pilule è uno schema superato Il giudizio «Tempo fa pensavo che Renzi fosse una risorsa, oggi dico che è pericoloso»
(di Giangiacomo Schiavi, Corriere della Sera)
Avanti il primo. Corrado Passera, supermanager, ex ministro, bocconiano, amministratore delegato di Olivetti, Mondadori, Poste, Intesa San Paolo. Nel cassetto un progetto per l’Italia, nel futuro un programma per Milano. Si candida a sindaco. Se riparte Milano riparte l’Italia, dice.
Chi ha dietro?
«Dietro nessuno. A fianco spero tanti milanesi».
Solo contro tutti?
«Contro questo Pd renziano, generic contro una destra che ha perso identità, contro il salvinismo. Ma insieme a tanti miei concittadini nell’interesse generale».
Con il potere che ha avuto nella gestione di banche e di aziende, possibile che non abbia una rete che lo spinge, qualche potere che lo appoggia, una lobby in campo?
«Porto la mia esperienza al servizio della città. Sono convinto di poter fare qualcosa di utile. Credo che lo dimostrino i miei risultati».
Chi la dovrebbe votare senza un partito alle spalle?
«Mi rivolgo ai milanesi. Quelli delusi dai partiti esistenti, sovaldi insoddisfatti, che vogliono una città in grado di competere con le prime dieci del mondo, che vogliono vivere meglio e avere più sicurezze per il futuro proprio e delle proprie famiglie».
Come pensa di convincerli?
«Con un chiaro progetto per Milano. Proposte concrete che diano voce ai vari pezzi della città. Milano ha bisogno di un concerto di voci e di un direttore d’orchestra al servizio della comunità. Per me il primo passo è sempre stato l’ascolto, da qui inizierò in queste settimane».
Sarà il candidato del centro?
«No, è uno schema superato. Voglio aggregare sulla base di un programma e di una squadra. Il mio intento è unire i vari pezzi di elettorato deluso a favore di un progetto di città che porti lavoro, sviluppo e qualità della vita. La mia sfida è uscire dalle sigle esistenti: la gente non ci crede più».
È una partenza in salita…
«Non ho mai pedalato in discesa. Ogni cosa che ho fatto è stata realizzata con fatica, impegno e passione».
Ha il piano B, se le cose non andranno nel modo giusto?
«Non c’è un piano B. Non l’avevo nemmeno quando ho lasciato Intesa per fare il ministro del governo Monti».
Perché si è convinto a scendere in politica?
«Dedicare una parte della vita alla mia comunità è parte del senso della vita, un impegno che mi hanno sempre insegnato mio nonno, medico condotto, e mio padre, piccolo imprenditore. Serve una politica di servizio: da Milano può partire la scossa positiva per l’Italia».
Non pensa che essere stato un banchiere possa danneggiarla in campagna elettorale?
«Milano è un importante centro finanziario, ha grandi banche, amministrare è gestire bene ciò che ti viene affidato. Questo lo rivendico come competenza. So come trovare risorse per dare lavoro. Non dimentichiamo che Intesa è la banca che è uscita meglio dalla crisi: ne sono orgoglioso».
Come vede Milano oggi?
«Conserva un suo orgoglio per le cose che funzionano e ha un forte senso civico. Vanno bene piste ciclabili e car sharing, ma Milano deve avere ambizioni di ben altro livello. Può essere la capitale della sanità, della ricerca, dell’innovazione, della moda, della cultura, dell’università e del Terzo settore. Così è possibile creare lavoro vero».
Può indicare le prime tre cose che farebbe?
«Mi piacerebbe indicarle le prime 50 cose da fare, solo con un insieme di interventi si restituisce ambizione a una città complessa come Milano. La politica che mi fa venire l’orticaria è quella che, con la scusa delle prime tre cose da fare e di generiche buone intenzioni, ha mandato in malora il nostro Paese».
Soddisfatto dell’Expo?
«È un acceleratore positivo di opportunità. Anche se la riflessione sul tema dell’alimentazione a livello mondiale ha portato finora a pochi risultati e il beneficio per Milano deve ancora arrivare. E trovo inaccettabile che nessuno sappia ancora che cosa sarà il dopo Expo per la città».
Crede nella città metropolitana?
«Ne sono un fautore. Finalmente su sanità e trasporti Milano avrà voce in capitolo senza essere schiacciata dalla Regione. Anzi, dimostrerà che se ne può fare a meno».
Il suo giudizio su Pisapia?
«Un intellettuale di spessore che si è trovato ad amministrare una realtà complessa. Non era facile, specie per i condizionamenti di una giunta a trazione renziana. Spiace che abbia annunciato con tanto anticipo il suo disimpegno: nel pieno dell’Expo e con i problemi della città c’è bisogno di una guida».
Che cosa pensa di altri sindaci di Milano: Tognoli, Albertini, Moratti?
«Ognuno di loro andrebbe ricordato anche per il contesto che si sono trovati ad affrontare. Ricordo di Tognoli lo stile, di Gabriele la concretezza, di Letizia l’energia».
Come ha letto l’aut aut del presidente della Regione Maroni su profughi e immigrati?
«Temo che per questioni interne al suo partito, il governatore alzi i toni ben oltre le sue convinzioni. L’allarme va unito alle proposte. Una contrapposizione tra potere centrale e amministrazione locale è ancor più grave visto che proviene da un ex ministro dell’Interno».
La linea del candidato Passera è compatibile con quella dell’attuale Lega?
«L’elettorato leghista a Milano è composto prevalentemente da persone che non sono né razziste, né antieuropeiste, né tantomeno tifose di CasaPound o di Marine Le Pen. Donne e uomini che chiedono legalità e giustizia ma soprattutto sicurezza: quando vanno al parco coi bambini, quando si spostano sui mezzi pubblici, quando sono in casa davanti alla tv».
E con il leader leghista Salvini, come la mettiamo?
«Far leva sulla paura può far crescere i consensi, ma non aiuta a governare. È una visione corta, poco responsabile».
Cosa resta di Berlusconi?
«Per vent’anni ha rappresentato il sogno di una rivoluzione liberale che non si è realizzata. Neppure le ultime amministrative bastano a coprire un presente di frantumazione».
Come vede l’Italia di Renzi?
«Il Paese è a rotoli. Ci sono 10 milioni di persone senza lavoro e nessuna politica economica coraggiosa per dare risposte strutturali. Qualche tempo fa pensavo che Renzi fosse una risorsa. Oggi dico che è pericoloso. Molte parole, poca sostanza, nessuna meritocrazia. Premia la fedeltà, è attaccato al vecchio potere. Da Milano si può lavorare per cambiare l’Italia in un altro modo».