Come spiegano tutti gli esperti, i mesi di lockdown causa Covid-19 nel mondo stanno dando una spinta esponenziale all’e-commerce. E se ormai nelle abitudini dei consumatori erano già entrati da tempo gli acquisti online di abbigliamento e accessori moda, cosmesi o giocattoli, il crescendo delle ultime settimane sta portando nel nuovo canale distributivo altri tipi di merceologie.
Per esempio, spiega Marco Giapponese, direttore generale del gruppo Triboo, specializzato in e-commerce (gestisce shop online per oltre 110 clienti) e marketing digitale, «stiamo assistendo a un boom di e-commerce nella tecnologia. E può sembrare un paradosso. Tuttavia, prima del lockdown, anche gli esperti di tecnologia navigavano sui siti, consultavano le schede prodotto, ma poi finalizzavano l’acquisto quasi sempre sul punto vendita fisico, volevano vedere il prodotto prima di comprarlo. Il lockdown, invece, ha accelerato tutti i processi, i tre mesi hanno dato una spinta pari a tre anni all’e-commerce. E sul fronte della tecnologia vediamo che si compra molto di più online, anche dopo la fine dell’emergenza. Pure i concessionari di auto hanno spinto tanto sulle videopresentazioni delle vetture, azzardando anche a fare piattaforme di e-commerce per la prenotazione della vettura».
Durante i mesi chiusi in casa, tuttavia, è diventato piuttosto comune comprare sul web anche prodotti alimentari, bevande, brand per la pulizia della casa, avvalendosi, soprattutto, dell’e-commerce messo a disposizione dalle catene della grande distribuzione.
Ma in aprile, maggio e giugno tutti i grandi colossi tipo Unilever, P&G, Nestlè, Kraft Heinz, Coca-Cola, ecc, per bocca dei loro manager di vertice, hanno assicurato investimenti molto forti per lo sviluppo di un e-commerce autonomo, da affiancare alla distribuzione nei punti vendita fisici. E in Italia? Ci sono aziende come Lactalis, ad esempio, che hanno appena deciso di lanciare la piattaforma di shopping online b2c shop.parmalat.it, con tutti i brand a marchio Parmalat, Santal, Galbani, Chef e Zymil. Anche una società come Rigoni di Asiago è partita da pochi giorni con il suo shopping online per marmellate, creme spalmabili e miele. Facendo un rapido giro per i siti web si nota come Riso Scotti abbia un proprio e-commerce, con spedizioni a casa per ordini di minimo 20 euro; Henkel, col sito CasaHenkel, porta a casa gratis prodotti come Dixan, Vernel, Perlana, Nelsen, BioPresto, Bref, Antica Erboristeria, per ordini superiori a 50 euro; Nestlè ha il sito buonalavita.it dove ha sviluppato un suo e-commerce; Pasta Garofalo spedisce a casa per acquisti di almeno 16 confezioni alla volta. E così via. Procter&Gamble, Unilever o Coca-Cola, invece, non sono ancora attrezzati in Italia (ma lo saranno presto), così come brand storici nazionali come Barilla e Ferrero, o Pastificio Rana, che hanno siti molto attenti a presentare tutti i prodotti, ma dove non si può acquistare nulla. «L’Italia è un paese vecchio», commenta Giapponese, «e nel food and beverage il retail ha ancora molto appeal sulla popolazione anziana, cui piace l’idea di andare a fare un giro al supermercato, al centro commerciale. Le grandi aziende, quindi, sono timide non perché non sono capaci di fare e-commerce, ma perché hanno grande timore di un mercato vecchio come l’Italia. Peraltro oggi ci sarebbero già i partner e gli strumenti per la logistica e per le consegne a domicilio. Ma le aziende hanno anche il timore di entrare in conflitto con le grandi catene della gdo».
Tuttavia, se le abitudini di acquisto iniziano a trasferirsi sull’online, non è detto che in ambiente digitale i consumatori continueranno a rivolgersi all’e-commerce delle catene della gdo. Anche perché sul web ci sono già tanti attori in grado di governare alla grande i marketplace, da Amazon ad Aliexpress, passando per Facebook, Instagram, foodservicedirect.com, fino a piattaforme specializzate per tipologia merceologica.
«Su Amazon si può già fare la spesa come da Esselunga», aggiunge Giapponese, «ed è interessante che su Amazon, anche post lockdown, siano rimasti tanti prodotti per la casa, di solito non nelle linee Amazon, che si rivolgono a un target diverso. Significa che è arrivato pubblico nuovo e che continua a esserci anche dopo l’emergenza».
Le aziende, comunque, si stanno organizzando: «Noi stiamo facendo tanti tavoli di lavoro con aziende del settore food & beverage, e vediamo come l’e-commerce non sia più considerata una cosa di contorno: viene invece trattata come attività primaria. D’altronde, pensiamo a cosa sarebbe successo se, durante il lockdown, avessero chiuso anche i supermercati. Quindi ora è meglio essere pronti, soprattutto per i beni primari. Se l’Italia diventa un paese digitalizzato, avremo accesso lo stesso a ogni tipo di merce anche se chiusi tutti in casa».
Per Giapponese, infine, non c’è tanto il rischio che i consumatori vadano sui siti delle singole aziende a fare e-commerce bypassando del tutto le catene della gdo, quanto «il rischio che diventino preponderanti anche nel food e beverage le piattaforme di comparazione, quelle tipo Booking per gli alberghi o Expedia per i viaggi aerei. Questa è la vera grande minaccia, e negli Stati Uniti qualcosa già sta accadendo».
Claudio Plazzotta, ItaliaOggi