«Prova a dribblarmi ancora una volta e ti spezzo le gambe»
Sapeva scherzare su tutto, ma nelle partitelle a calcio tra amici era duro e deciso. Le sue gag con la Mondami nascevano in casa
(di Cesare Lanza per LaVerità) Nella mia memoria, Raimondo Vianello non è il più importante e non è stato il più amico (era molto riservato, direi quasi misantropo), ma sicuramente il più divertente tra tutti i personaggi che ho conosciuto. E indimenticabile, e ancor oggi mi diverte e mi mette di buon umore, ciò che mi disse. Cosa c’era, all’origine? La sfrenata, comune passione per il calcio. Dico subito che la sua era nettamente più forte della mia, che pure era folle, e fortissima. Nella seconda metà degli anni sessanta e poi nei settanta, i giornalisti a Roma avevano l’abitudine di disputare un campionato tra le varie testate, nei campi dell’Acquacetosa. lo militavo nel Corriere dello sport, gli avversari più forti erano quelli del Messaggero e della Rai. Male competizioni tra i giornali non ci appagavano, quindi formavamo rappresentative che si battevano contro squadre di scrittori, star dello spettacolo, del cinema… Ricordi formidabili. Giocavo a centrocampo, ero grintoso e veloce. In campi di stadi veri: al Flaminio a Roma, a Marassi a Genova. Mi sono battuto contro avversari forti, più forti di me: Sandro Ciotti, Pier Paolo Pasolini… Da qualche parte conservo una fotografia di un duello con Pasolini: a Marassi, sotto una pioggia battente, saltavamo tutti e due per colpire il pallone di testa. Chiome al vento, sembravamo – nell’immagine sembravamo calciatori veri, professionali almeno, se non addirittura professionisti; non certo, e questa era la realtà, pipponi inguardabili, ricchi però di passione e agonismo. Il calciatore più forte e temibile era Vianello.
Lento, ma imponente, roccioso. Anche lui centrocampista. E cattivissimo. Picchiava scientificamente come un fabbro. Non era scorretto, ma al limite del regolamento quasi sempre. Temerario sfidarlo e difatti me ne stavo al largo, anche se non ero e non sono un timido magrolino. In quattro o cinque partite in cui lo ebbi come avversario, aspettavo che mi arrivasse un pallone propizio per dribblarlo e andarmene via di corsa. Una volta – a Rapallo -, d’estate sentii che dopo aver perso il contrasto mi minacciava alle spalle: «Crede di essere stato più furbo? Se lo prendo, lo spezzo in due…». Incredibile, vero? Era massiccio, serio, ma ineccepibile: stile inglese. Nel linguaggio (parole mormorate, mascelle serrate…) certo era diverso dal personaggio ironico, nella vita e nella comicità, che tutti abbiamo conosciuto. Ma in fondo anche il borbottio faceva parte del suo stile. E il bello è che, la volta dopo quel mio fortunato dribbling, prima dell’inizio della partita mi disse, con freddezza uguale a quella con cui pronunciava le sue battute nel palcoscenico: «Se hai in mente un altro scherzetto, prima di riuscire a farmi fare una figuraccia come l’altra volta, ti ritroverai con una gamba sola…». Gli risposi mielosamente:
«Sei lucido, hai una buona tecnica, a centrocampo dirigi il gioco. Che fai? Mi minacci? ». Mi concesse un sorrisino: «Sì, sono lucido. E perciò, lucidamente, ti avverto: attenzione alle gambe…». Mi credete se vi dico che – in partita – mi tenni a distanza di sicurezza? Una quindicina di anni dopo, lui conduttore a Mediaset di un programma di dibattito calcistico, “Pressing”, durante un intervallo per la pubblicità gli dissi: «Ti ricordi quelle partite con noi giornalisti? E ricordi che picchiavi alla grande, era diffìcile schiodarti il pallone dai piedi?». Si illuminò e mi disse sottovoce: «Ricordalo, ricordalo, quando rientriamo in trasmissione…». Era visibilmente compiaciuto. E io eseguii: «Tra il pubblico pochi sanno che questo gentile signore, Raimondo Vianello, proprio lui, il conduttore, quando gioca al calcio diventa un mastino, un vero picchiatore, scientifico. Ho giocato molte volte contro di lui e ho ancora gli stinchi lividi..». E lui sorrideva, con evidente orgoglio, senza commentare. Vanitosissimo, ma solo per il calcio (mai compiaciuto invece come show man). Lo sketch gli piacque al punto che lo inserì, per qualche settimana, in uno spot che promuoveva il suo programma. La passione di Vianello per il football era ben nota a chi lo conosceva: «Ho avuto anche la fortuna di lavorare con lui», ricorda Gianni Morandi «e tanti anni fa di giocare contro di lui a Roma in qualche torneo di calcio amatoriale. Lui giocava per la SaMo, che stava per Sandra Mondaini. Era sempre divertente». E Gianfranco Giacomo D’Amato, suo biografo e compagno di calcio nelle partite: «Raimondo era un grande appassionato. Oltre a seguire il calcio di alto livello, lo ha sempre praticato. Un giorno, era già intorno alla settantina, passò dal campo di calcio del quartiere e vide gente che giocava. Erano tutti giocatori “di esperienza”, residenti nel quartiere: a una certa età, non avevano rinunciato alla partitella settimanale. Gli dissero che il sabato mattina era il benvenuto per unirsi al gruppo. La cosa gli piacque. Il sabato successivo tornò in maglietta e pantaloncini. Nonostante l’età avanzata e la scarsa mobilità, se la cavava ancora. In più, essendo un personaggio celebre, tutti gli altri usarono un certo riguardo, evitando di essere aggressivi o di far valere gli anni in meno. Raimondo ha giocato in quel campo tutte le settimane per 15 anni, fino a poco tempo prima di scomparire, nel 2010. Arrivava per primo, ogni sabato mattina, puntuale come un orologio. Portava lui le maglie pulite per tutti… Con qualsiasi tempo: pioggia, gelo, caldo soffocante. A partita conclusa raccoglieva le maglie per portarle a casa e farle lavare, pronte per il sabato successivo». Non solo calcio però.
Ecco la testimonianza del giornalista Gigi Vesigna: «Non c’era sport che non conoscesse profondamente. Quando alle Olimpiadi inserirono il curling, mi stupì spiegandomi regole e primati come se l’avesse inventato lui». Nel 1946 il Palermo, che militava in serie B, gli offrì un contratto per 30.000 lire mensili. Rifiutò con dispiacere, per concentrarsi sulle ambizioni artistiche, ma continuò a giocare in terza categoria. A calcio ha giocato fino a 85 anni, nel campo di quartiere che oggi porta il suo nome, a Milano 2. Nel 1982, quando passò a Mediaset, volle inserire nel contratto una clausola: le riprese sarebbero state interrotte durante il campionato mondiale di calcio, per permettergli di seguire le partite. Raimondo merita questo lungo spazio dedicato al calcio per onorare la sua memoria: nella sua vita il football ebbe un ruolo centrale, non esclusivo, ma prioritario. Lo capì bene Sandra Mondaini, che dovette lottare, con scaltrezza femminile, per riuscire a prevalere: «Di notte fissava la data del matrimonio e la mattina diventava vago», ha raccontato l’attrice. «Così un giorno scappai a Milano dalla mia mamma. Subito Raimondo mi telefonò annunciandomi che ci saremmo sposati il 28 maggio del 1962». E la prima notte di nozze, si racconta senza smentite, Vianello la trascorse leggendo accuratamente la Gazzetta dello Sport. Ma com’era la loro relazione? «In “Casa Vianello”, Raimondo ci prova davvero con tutte e questo è intollerabile nella realtà», ha detto Sandra. «Poi magari le corna me le ha messe nella vita, ma se lo ha fatto lo ha fatto con classe e non me ne sono accorta». Replica di Raimondo con l’abituale ironia: «Se mi guardo indietro non ho pentimenti. Dovessi ricominciare, farei esattamente tutto quello che ho fatto. Tutto. Mi risposerei anche. Con un’altra, naturalmente». Più seriamente: «Sandra è una donna altruista. Molto buona, pure troppo. A volte qualcuno se ne approfitta, ma lei si dà completamente agli altri. È piena di sentimento nei confronti dei bambini. E con i nostri due filippini adottati, Raymond e Gianmarco, è davvero una mamma. Difetti? Non saprei… non è apprensiva né gelosa». Aveva incontrato la Mondaini nel 1957, tutti e due erano già impegnati. Dopo mesi di tournée insieme lasciano i rispettivi partner senza consultarsi e iniziano (1958) una relazione. Dopo tre anni, la Mondaini lascia Vianello per tornare a Milano: lui infatti non considerava seriamente l’impegno del matrimonio. Ma in quarantotto anni di matrimonio, una sola volta i giornali di gossip hanno scovato una storia trasgressiva: Raimondo avrebbe tradito Sandra con un’attrice e lei, per ripicca, gli avrebbe reso pan per focaccia con un musicista. Di entrambi i presunti amanti non s’è mai saputo il nome. La lievità distingueva il loro legame, con reciproco senso dell’umorismo. Per il quarantesimo anniversario di nozze, lui regalò a Sandra una rosa, con un pacchettino e un sobrio biglietto: «Con simpatia, Raimondo».
Le battute sul suo legame con la Mondaini erano inesauribili, capolavori di lievità coniugale nei rapporti matrimoniali. «Io e Sandra nella vita siamo più o meno così, ma in televisione esasperiamo tutto. Io sono una persona che ama l’umorismo nero, le cattiverie: ero io che proponevo questa comicità e la sviluppavo, non mi ha creato nessuno. I dirigenti televisivi a volte inorridivano, ma questa comicità è una cosa che sento, mia. Anche con Sandra…». E Sandra: «Tu non mi sogni mai?». Raimondo: «No, non ho più incubi notturni!». Gli chiesi una volta come si spiegava la differenza tra il suo atteggiamento duro e determinato su un campo di calcio e la leggerezza con la quale si proponeva come show man: «Ma è semplice. Il calcio è una cosa seria». Dunque, più dello spettacolo. «Però – dissi – non ti dispiace essere considerato il gentleman dell’umorismo». «In sintesi mi vuoi dire che giocando al calcio non sono un gentleman». «Quasi…». Mi aspettavo per risposta una delle sue battute fulminanti. Invece: «Bernard Shaw diceva: la comicità nasce dall’istinto, l’umorismo dal cervello. Per questo sosteneva che esistono comici bravissimi, che fanno morir dal ridere, ma nella vita poi sono poveri di spirito. Nel calcio sono povero di spirito, i gentiluomini non pensano al risultato, io sì». Vianello era nato a Roma il 7 maggio 1922. Morì a Milano il 15 aprile 2010, quasi a 88 anni, per insufficienza renale. La sua vocazione a scherzare, in qualsiasi situazione, è rimasta famosa. Marcello Marchesi ha raccontato la singolare capacità di Vianello di non perdere mai la calma e di esprimersi scherzosamente, perfino in guerra: «Bombardamento. Batteria contraerea inceppata. Tutti via per i campi, lunghi distesi fra le zolle. Mentre l’inferno continua, Raimondo si alza, solleva una zolla meno dura delle altre, la soppesa, si guarda in giro e la getta con forza sull’elmetto di un artigliere, rannicchiato e tremante. “Aiuto… sono stato colpito… mamma!”. Raimondo si distende vicino a lui. “Non è niente. Stai tranquillo, sono stato io. Ti ho tirato un po’ di terra, sei contento? Di’ la verità: sei contento che sia stato io? Pensa se era una scheggia. Non sei morto! Allegro, era uno scherzo”».