PICCIRIDDA È DI CATENA FIORELLO, PORTATA AL CINEMA DA PAOLO LICATA
(di Cesare Lanza per Il Quotidiano del Sud) Il regista Paolo Licata è nato a Palermo nel 1981, ha seguito gli studi classici e si è laureato in Giurisprudenza. A Favignana si sono svolte le riprese del film “Picciridda con i piedi nella sabbia”, tratto dall’omonimo romanzo di Catena Fiorello dal titolo “Picciridda” (edito da Baldini Castoldi Dalai Editore e nuovamente nel 2017 da Giunti Editore), opera prima di Licata. Nel cast attori siciliani: Lucia Sardo (“I Cento Passi” di Marco Tullio Giordana), Ileana Rigano, Katia Greco, Tania Bambaci, Loredana Marino e per la prima volta sullo schermo la piccola Marta Castiglia.
È LA STORIA DI LUCIA (UNDICI ANNI) E DELLA SEVERA NONNA MARIA
Il film, ambientato a fine anni ’60 in un villaggio di pescatori, narra la storia di Lucia, una bambina di undici anni i cui genitori emigrano in Francia in cerca di lavoro, affidandola a nonna Maria, una donna severa e incapace di manifestare i propri sentimenti. Col passare dei mesi l’esistenza di Lucia si popola di persone e affetti. La curiosità la spinge verso gli uomini, un mondo misterioso da cui stare alla larga (come dice la nonna) o tutto da scoprire (come pensa Lucia). Uno di loro nasconde un terribile segreto e la nostra Picciridda ne rimarrà vittima. In un contesto sociale ostile, la piccola protagonista paga un prezzo molto alto, ma continua a lottare per crescere con dignità, forza e ottimismo. “Picciridda con i piedi nella sabbia” non è una storia vera, ma lo sembra. Il film (cinque settimane di riprese) è stato sarà girato per quattro settimane nelle isole Egadi (Favignana) e una settimana in Francia (Lione). È prodotto da Alba Produzioni – Panoramic Film e Moonlight Pictures con il sostegno del Comune di Favignana.Distribuzione Europictures. Valerio Cappelli ha scritto sul Corriere della Sera: «L’“altra” Fiorello si chiama Catena e porta quel nome perché la nonna paterna si chiamava così. Nel film Picciridda (tratto dal suo romanzo, uscito il 5 marzo), di cui lei è sceneggiatrice e Paolo Licata regista, rivive nel personaggio di Nonna Maria (l’attrice è Lucia Sardo). “Era una donna modernissima, viveva in Sicilia ad Augusta, girava con la bandana, fumava il sigaro, nel 1931 rimase incinta di un uomo sposato, e suo figlio, mio padre, non l’ha cresciuto nell’odio dell’uomo che la abbandonò. Ma la vera protagonista del film è un’altra”.
INTERVISTA A CATENA, CHE PARLA A LUNGO DEL FRATELLO ROSARIO
Chi? “Lucia (impersonata da Marta Castiglia), che vive un’emigrazione passiva, come la definisco io. I genitori alla fine degli anni Sessanta partono in cerca di fortuna, e ciò che rimane a lei, una bambina di undici anni, è di aspettare, non ha più il concetto del tempo. Sono bambini segnati, crescono molto timidi o diventano bulli, mai normali, marchiati dal distacco coi genitori. Vive (a parte la nonna) tra parenti porci, il compare che palpa, tocca, molesta, stupra. Ne conosco tanti, di racconti così”. – Ma è una storia vera? “No, ma ne raccoglie tante ascoltate negli anni. Da ragazzina in estate vedevo gli emigranti che tornavano dalla Svizzera e dalla Germania con l’auto carica, gli sterzi foderati con pellicce di leopardo, i portafortuna che pendevano dagli specchietti. Avevano il loro mondo. E i figli spesso li lasciavano in Sicilia”.
RIFIUTÒ DI CAMBIARE IL COGNOME E INCASSÒ I COMPLIMENTI DI OLIVER STONE
Ora parliamo di lei. “Ho condotto dignitosamente programmi, ma non ho fatto niente per fare tv, consapevole che era pericoloso perché domani avrebbero detto che sono raccomandata dai due fratelli famosi. Rosario mi consigliò di usare lo pseudonimo, gli risposi: il nostro cognome ce l’ha dato papà. I libri mica me li scrive Fiorello, né lo porto alle presentazioni. In Italia si vive sulle raccomandazioni, non si può credere che uno possa andare per la sua strada. Ci ho messo otto anni a fare questo film, perché è cinema d’autore e non una commedia ridanciana. Oliver Stone al Festival di Taormina mi disse: mi porterò dietro l’intensità dello sguardo della Picciridda”. Lei cominciò accanto a Rosario. “Vent’anni insieme. Si creò un vuoto, lui ‘lasciò’ Cecchetto, mi chiese di dargli una mano come assistente. Andavo in banca per lui, gli facevo la spesa e da avvocato… Eravamo come una ditta. Mi sono divertita, ho imparato tutto da mio fratello. Ero specializzata nei ‘no’. Mike Bongiorno voleva fare un programma negli Stati Uniti con Rosario, che ha la fobia degli aerei, non sapevo come dirglielo. Mike fu comprensivo”.
IL PARERE DI CATENA SU SANREMO, RULA JEBREAL E DILETTA LEOTTA
– Cosa pensa di suo fratello a Sanremo? “Ha partecipato a una festa per celebrare il suo amico Amadeus. Poi, la vera modernità sarà quando noi donne non saremo costrette a fare i monologhi per dire: guardate che ci siamo anche noi. Se Rula Jebreal deve raccontare quella bella storia drammatica per attirare l’attenzione, tutta questa parità non c’è. E se Diletta Leotta dice che la bellezza è un dono, non aggiunge qualcosa alla buona causa delle donne. Quanto al Festival, ci ricorderemo del look di Achille Lauro e amo il vincitore Diodato, ma le canzoni eterne sono quelle di De André e di Mina”. – Lei è competitiva? “No, non ce l’ho ‘sta cosa, lascio tutto al destino. Una cosa rimprovero a tanti critici: se i miei fratelli gli stanno antipatici, senza nemmeno sapere cosa c’è scritto stroncano i miei libri. Si fanno le recensioni tra di loro, si autocelebrano, non accettano che in famiglia tre persone facciano lavori diversi nello spettacolo. E allora i figli di Ugo Tognazzi? Io sono felice di essere una outsider”».