Superato l’esame della critica: maturità stilistica e narrativa
FORGIONE DA NAPOLI A LONDRA (E RITORNO) PER SCRIVERE GIOVANISSIMI
(di Cesare Lanza per Il Quotidiano del Sud) Alessio Forgione è nato a Napoli nel 1986. Scrive perché ama leggere e ama leggere perché crede che una sola vita non sia abbastanza. Il romanzo di formazione “Napoli mon amour” aveva segnato il suo debutto. Ieri, a Villa Fernandes a Portici, Forgione ha presentato “Giovanissimi”. Gaetano Moraca ha scritto su Style (Corriere della Sera): «Grazie al suo romanzo d’esordio, “Napoli mon amour”, il 34enne Alessio Forgione è stato designato dalla critica come l’erede di Raffaele La Capria. L’autore di “Ferito a morte” è anche un personaggio del primo libro di Forgione che, in un costante rimando tra vita vera e vita narrata,riceve in lettura dal protagonista Amoresano alcuni racconti in cui si celano già le fondamenta di “Giovanissimi”.“Non prendi le distanze”, aveva sentenziato La Capria dopo averli letti, così Forgione si è consegnato totalmente a quella storia per due anni e mezzo. E in questa seconda prova, appena pubblicata da Nn editore, dà mostra di maggiore maturità stilistica e narrativa. Da poco è tornato a vivere da Londra a Soccavo, quartiere periferico di Napoli dove è nato e cresciuto. E qui la sua storia si confonde con quella di Marocco, il 14enne protagonista di “Giovanissimi”, che prova a capire come si sta al mondo. Intorno al suo percorso di formazione ruotano una periferia-recinto, una squadra di calcio in cui gioca senza particolari ambizioni, la scuola che frequenta per inerzia e una madre assente, fino alla scoperta sconvolgente di quanto i rapporti con gli altri possano completarci.
LA VITA DI PERIFERIA É UGUALE CRUDA E VIOLENTA DAPPERTUTTO
La storia di Marocco potrebbe vivere anche al di fuori della periferia napoletana? «In parte sì, perché la vita di periferia è un po’ uguale dappertutto. La prima casa in cui ho abitato a Londra era in una periferia molto simile a quello di Soccavo, dove sono cresciuto. Ho dovuto lasciarla subito, non potevo vivere nello stesso contesto che avevo lasciato. La vita nella periferia napoletana è dura, la violenza è costante, anche nel modo in cui le persone si rivolgono tra loro al supermercato. Nel libro ci sono diversi episodi violenti, ma m’interessava tratteggiarli come un costante fischio nell’orecchio, non farne l’oggetto del racconto. Il quartiere di Marocco è una sorta di ghetto, una periferia della periferia che non fa notizia”».
LE CONFESSIONI DI UN ANONIMO CAPO DI GABINETTO. MERIDIONALE?
Oggi parliamo anche di un anonimo, presumibilmente un terrone sconosciuto. Uno scrittore colto e astuto, che al momento vuol restare in incognito e ha firmato come Anonimo. Il libro “Io sono il potere. Confessioni diun capo di gabinetto” (Feltrinelli). Filippo Ceccarelli ha scritto su il ‘Venerdì’ (la Repubblica): «Io sono il Potere dio tuo: quindi senza nome e senza volto, come si presenta l’autore di questo libro che per la prima volta disvela dall’interno ciò che oggi va di moda definire Deep State, lo Stato Profondo. La sala macchine e insieme il retrobottega dell’amministrazione pubblica: quell’entità che invisibili addetti hanno il potere di fare andare avanti con norme scritte e concreti atti di governo, ma che pure con
i medesimi mezzi possono bloccare, o magari differire, oppure deviare, o addirittura inceppare senza che nulla appaia alla luce del sole; e comunque sempre in nome di quella Tecnica che formalmente è al servizio delle Istituzioni, ma in pratica si pone al di sopra dei politici, a loro volta valutati dall’autore con “ferocia darwiniana”, giacché i ministri passano,mentre”per noi c’è sempre un dopo”. È il mondo dei capi di gabinetto, dei maghi degli uffici legislativi, della vera e misteriosa Casta di color che sanno, consiglieri e avvocati di Stato, magistrati dei Tar e della Corte dei Conti, consiglieri parlamentari, gabinettisti raccontati maliziosamente alle prese con gli smaniosi capricci e le goffe ottusità dell’odierna classe di governo.
IL GIORNALISTA SALVAGGIULO INDUCE IL MANDARINO A CONFIDARSI
È uno di questi mandarini che il giornalista Giuseppe Salvaggiulo ha convinto a vuotare il sacco, anche se l’impressione è che non aspettasse altro, colmo com’era di nozioni sulle virtù e le male arti del “kamasutra normativo”. Ecco perciò astuzie e trucchi lessicali (“In attesa del riordino della materia…”), pareri e codicilli di inavvertito, ma devastante
impatto, regolamenti nati morti o avvelenati, deleghe oblique, spacchettamenti a rimbalzello, inammissibilità a geometria variabile; il tutto culminante nell’affannosa misteriosofia della Legge di bilancio: soldi, soldi, soldi, naturalmente pubblici, che per conto dei rispettivi ministri i capi di gabinetto si contendono a suon di bozze segrete, file posticci, “bachi” per individuare le fughe di notizie. Ed è come se un lampo rompesse l’oscurità che un giorno spinse un esasperatissimo Berlusconi a invocare: “Ma che cazzo è questa bollinatura?”.Dunque: Io sono il potere. Confessioni di un capo di gabinetto (Feltrinelli, 287 pagine comprensive di un lodevole e promettente indice dei nomi). Chi è convinto che si governi con i tweet e le dirette Facebook non apra proprio questo libro – per quanto farebbe meglio a studiarselo, e non solo perché, come diceva la nonna, le apparenze ingannano e sotto la più vistosa fuffa si nasconde il senso ultimo delle scelte. Se la politologia americana, da Murray Edelman in poi, ha approfondito il ruolo degli staff, nell’Italia della commedia e del melodramma si può essere grati a questa ignota testimonianza. Abbandonandosi dunque a un’antropologia di tristi tropici ministeriali fatti di piccoli piaceri e ricche parcelle, anticamere e salottini un po’ sdruciti, la cernita di mobilie cimeli nei sotterranei, il mercato degli autisti, la somministrazione delle spese di rappresentanza, i biglietti omaggio all’Olimpico, fino alla tritatura dei documenti»