Nel mondo anglosassone è il whistleblower (chi soffia nel fischietto), in Italia sarebbe «lo spione»: già dal nome è evidente come nel nostro paese il ruolo di chi denuncia la commissione di un illecito nell’organizzazione di appartenenza non è sempre visto in modo positivo. E forse è questo il motivo per il quale, mentre negli Stati Uniti e nel Nord Europa, grazie ad alcune «soffiate» sono stati messi a frutto colpi clamorosi come le pressioni di Trump sui politici Ucraini o l’affare dieselgate o le accuse di riciclaggio a Danske Bank per 28 miliardi di euro, in Italia è possibile citare solo l’affare Montepaschi e l’arresto del presidente di Ferrovie Nord per uso indebito di carte di credito.
Ma anche in Italia la mentalità sta cambiando velocemente: pochi mesi fa Raffaele Cantone, direttore dell’Autorità nazionale Anticorruzione, ha sottolineato che l’istituto del whistleblowing sta contribuendo a dare risultati sempre più significativi nella lotta alla corruzione, tanto che «dal varo della normativa a oggi, si assiste a un innalzamento “qualitativo” delle segnalazioni inoltrate; sempre di più si tratta di questioni/condotte illecite che hanno una rilevanza medio-alta nelle attività delle amministrazioni, mentre sono in diminuzione le questioni che non rientrano nell’ambito oggettivo di applicazione della disciplina e le questioni c.d. “bagatellari” che portano inevitabilmente all’archiviazione delle segnalazioni». I numeri confermano questa interpretazione: se nel 2015 sono arrivate alla pubblica amministrazione solo 125 segnalazioni, quest’anno si dovrebbe arrivare a sfiorare il migliaio. Impossibile invece avere i dati delle denunce fatte nelle aziende private, ma è molto probabile che il trend sia lo stesso.
E nei giorni scorsi la disciplina ha compiuto un importante passo in avanti, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, della Direttiva 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante «la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione». Ora l’Italia e gli altri paesi europei hanno due anni per il recepimento di queste norme che, in sostanza, prevedono l’estensione della tutela dei delatori non solo a manager e dipendenti ma anche a soggetti esterni come lavoratori autonomi, tirocinanti e altri che potrebbero acquisire informazioni utili sulle violazioni che avvengono in un contesto lavorativo. Diventa obbligatorio per le società con più di 50 dipendenti o i comuni con più di 10 mila abitanti, creare apposti canali di segnalazione tutelati.
Ma le novità forse più dirompenti sono quelle contenute nella direttiva Dac 6, che deve essere recepita dall’Italia entro il 31 dicembre di quest’anno (il decreto di recepimento previsto dalla legge di delegazione europea è in fase di approvazione). Qui si prevede addirittura l’obbligo (obbligo, non facoltà!) per professionisti, banche e intermediari finanziari di segnalare all’Amministrazione finanziaria tutte le operazioni transfrontaliere potenzialmente elusive o evasive. Ma è probabile che presto la disciplina sarà ampliata a tutta una serie di reati e violazioni fiscali (es. in materia di appalto, riciclaggio ecc). Addirittura ne è prevista l’applicazione retroattiva: dovranno quindi essere dichiarate al fisco entro il 1° luglio 2020 tutte le operazioni fatte o congegnate dal 26 giugno 2018. In pratica bisognerà andare a recuperare tutte le operazioni degli ultimi due anni per capire se hanno elementi o finalità volte all’indebito risparmio fiscale. Un obbligo di delazione che coinvolge non solo professionisti e intermediari ma addirittura i contribuenti stessi. Per citare un caso clamoroso, facile da comprendere: gli schemi utilizzati dalle multinazionali digitali del web (presenza di uffici in Italia, ma non di stabili organizzazioni, per esempio) che hanno consentito loro di fatturare, l’anno scorso, 2,4 miliardi di euro pagando soltanto 64 milioni di imposte, dovranno essere necessariamente segnalati all’Agenzia delle entrate.
Di fatto, in questo modo, tutta l’attività prodromica agli accertamenti fiscali, con le relative responsabilità, viene scaricata sulle spalle di professionisti, intermediari finanziari, addirittura sugli stessi contribuenti. Un ulteriore obbligo di delazione che coinvolgerà in primo luogo avvocati, dottori commercialisti, notai, consulenti del lavoro. Sempre più asserviti alle esigenze dell’erario e sempre più terminali del grande fratello fiscale in via di costruzione.
Marino Longoni, ItaliaOggi