Ci sono persone che anche se non conosci personalmente le includi nella cerchia di “brave persone”: perché ti piace quello che dicono, medical perché pensi che lo sentano veramente e perché si mostrano comunque gentili anche se potrebbero rimanere freddi e indifferenti. Giorgio Diritti dà esattamente questa impressione. Sono solo tre i film che ha girato per il grande pubblico ed uno è in fieri, ma sia dai film, che sono l’espressione della sua anima, sia dalle sue parole per una breve intervista, si capisce che è una persona con la quale condividere pensieri e riflessioni, sta dalla parte del giusto. “Sono un lavoratore privilegiato – dice Diritti – perché nel percorso della vita sono riuscito a indirizzare le scelte e ad arrivare a fare qualcosa di molto importante e a cui sono molto legato”. “Faccio quello che sento giusto fare, advice e realizzarsi nel lavoro è molto importante, significa anche felicità”. Certo ha dovuto faticare, perché i primi due film li ha prodotti con la sua società, ed è stata una impresa delicata e avventurosa, ma sicuramente impegnativa. “Penso che la condizione della fatica faccia parte della vita, nel senso che la vita è anche fatica, è anche in certi casi dolore, ma in una logica di una prospettiva di miglioramento, di riscatto. Penso che la felicità spesso derivi da questo travaglio; fin dalla nascita un bambino nasce nel dolore di una madre, ma poi la madre è la prima ad esser felice nel momento in cui lo prende in braccio dopo il parto. Penso che sia sempre così il percorso naturale delle cose”. I suoi film sembrano a prima vista intrisi di neorealismo, sono radicati al territorio, all’ambiente, alla natura e alla comunità. Ma Diritti non crede ci sia una ispirazione nel senso più diretto: pur affascinato da quella dimensione, ama anche Chaplin, Kubrick, Ken Loach, Kie?lowski: “Ci sono vari elementi e persone che hanno raccontato storie in modo entusiasmante”. “Ho un desiderio di verità nei confronti del cinema, non solo raccontare storie, ma fare in modo che queste diventino fortemente plausibili, partecipate con senso di grande realismo. E in alcuni casi vuol dire lavorare anche con non-attori, e fare scelte in modo che lo spettatore si senta parte di quello che sta vedendo nel racconto”.
Diritti raccoglie storie, cercando di dare occasioni di riflessioni perché “un regista è un po’ uno specchio del mondo, della società di oggi: il muoversi e l’andare è certamente un’occasione di rinnovamento, per rinascere e cercare di ricostruire se stessi. Un’occasione che può scontrarsi con la difficoltà. È un rapporto fra l’uomo e la comodità nel senso più ampio del termine”.L’andare in determinati ambienti può portare una situazione di accoglienza, ma questa si può ribaltare in difficoltà; l’inserimento in un ambiente sconosciuto non è mai facile perché c’è la chiusura e faticosamente si accetta l’altro. Ma non è facile neanche modificare un nostro atteggiamento quando si incontra una comunità o una realtà differente. “Ma il bello dell’umanità è la speranza; il sapere cogliere, il trarre dalle negatività e dalle difficoltà sempre una opportunità di riscatto”. Nel film “Il vento fa il suo giro”, il riscatto del protagonista è andare da un’altra parte dove si potrà forse realizzare: alla fine del film, quando va ad abitare nella sua casa ed accende la stufa, si intuisce che forse prenderà il testimone della sua esperienza . In “L’uomo che verrà” la speranza è nel futuro dell’umanità: anche di fronte alla più grande tragedia una bambina si sente responsabilizzata, diventa madre del suo fratellino in un senso comunque di speranza. “Perché ritengo – dice Diritti – che la vita ci porti per fortuna a credere che sia possibile un miglioramento della propria condizione e di quella generale”. In “Un giorno devi andare” la speranza acquista una valenza differente: “Andare in Brasile significa andare oltre i propri confini esistenziali di vita, un modo per imparare da un lato a conoscersi e anche a conoscere il mondo”. Spesso la speranza non si riesce a trovare, si fa fatica anche a metterla a fuoco, si è schiacciati da un senso di sfiducia. In alcuni casi non è tanto il nostro agire, il nostro fare che ci dà la risposta, ma sono gli incontri e soprattutto quelli inattesi, quel qualcosa che non si immagina, ma bisogna tenere bene aperti gli occhi, gli orecchi per sapere accogliere quel segno, quell’elemento, quel momento di vitalità che ti può rilanciare. “Penso che in alcune situazioni, nell’incontro con le persone ci possano essere certamente delle possibilità per vivere felici, o per risolvere i problemi”. “Un giorno devi andare” è un film sulle relazioni umane: “Nel rapporto con quella che viene definita comunità, un tema a me caro, e nel rapporto anche con la natura, altro elemento molto importante, ci sono le sintesi di quella che mi pare una chiave per ritrovare la priorità della vita. Perché sennò rischiamo di non capire dove andiamo, chi siamo, che cosa veramente vogliamo, di non essere in fondo felici.” Secondo Diritti una delle problematiche forti della società attuale è una mancanza anche di profonda felicità: le persone fanno tante cose, ma dentro, nel profondo, non sanno coscientemente come stanno: “Spesso sono fortemente schiacciate senza un senso di godimento nel vivere”. Il sistema capitalistico consumista della società organizzata rischia di cancellare le relazioni umane in funzione del cosiddetto presunto progresso, le persone vivono non realizzando quello che vorrebbero, ma adeguandosi a una necessità, al bisogno economico spesso vendendo parte della propria giornata e della propria libertà, facendo ciò che non piace per tutta la vita. In Amazzonia invece, secondo Diritti, “in una condizione di ambiente naturale, si ritrova quello che poi in fondo siamo, una cosa che fa parte di un universo complessivo: una dimensione di semplicità che ci aiuta a ritrovare quelle cose che veramente possono far stare bene”.
STEFANIA MICCOLIS