Proponete agli italiani una riduzione dell’imposta di registro e la reazione più probabile sarà l’indifferenza. Dite loro che taglierete l’Irap o l’Imu e vi guarderanno come chi riceve quanto pensa di aver già diritto ad avere. Ma sbandierate che abbasserete l’Irpef e avrete i loro voti. Questo per due ragioni: perché l’Irpef è la «tassa» per antonomasia e perché la sua riduzione consente agli italiani che la pagano di accorciare le distanze dagli evasori, sia pure con una corsa verso il basso.
Il centrodestra ha capito bene questa lezione e infatti le sue proposte in materia sono sempre state robusti tagli d’aliquote, fino all’estremo della flat tax. La lezione, invece, la capì troppo tardi il centrosinistra di venti anni fa, che, dopo aver realizzato molte ed egregie e riforme fiscali, si ridusse solo in extremis, a fine legislatura, a fare un taglio dell’Irpef. Una misura al tempo stesso abbastanza modesta da non fruttare consensi e abbastanza costosa da permettere al centro-destra subentrato al governo di lamentare il «buco» nei conti pubblici.
Intervenire sulle retribuzioni?
La curiosità sarà ora conoscere le scelte tributarie del nuovo governo.
L’annunciato taglio del cuneo fiscale è sicuramente un giusto obiettivo e altrettanto giusta è la strada della riduzione dell’Irpef. È invece ancora dubbio quale sarà il veicolo prescelto: una misura estemporanea o una riforma strutturale?
Sulla misura estemporanea ci sono almeno due dubbi. Il primo riguarda le somme in gioco. Un qualsiasi intervento significativo sull’Irpef richiede importi consistenti: ridurre di un solo punto la prima aliquota, ad esempio, costa 4,5 miliardi. È saggio impegnare simili importi in una misura estemporanea? Il rischio è che l’auspicata futura riforma dell’Irpef sarebbe privata di una parte cospicua di risorse oppure dovrebbe «fagocitare» il beneficio, con il rischio di conferirgli un amaro retrogusto.
Il secondo dubbio è che qualunque somma, per quanto complessivamente grande, dovrebbe essere ripartita tra almeno 10 o 15 milioni di lavoratori dipendenti, con un effetto pro-capite modesto che farebbe una magra figura in confronto a quanto promesso dalle varie flat tax. Ed è qui, nella spontaneità di un tale confronto, che la misura estemporanea rivelerebbe il suo limite essenziale: l’appartenenza, come la flat tax, al regno delle zucche e non a quello delle querce.
Politici o statisti
A un genitore che chiedeva di affrettare il corso di laurea del figlio, Orso Maria Corbino, il «padre» scientifico dei ragazzi di via Panisperna, rispose che far crescere una quercia richiede cento anni, ma per una zucca bastano due mesi. Così, anche nella politica tributaria ci si deve chiedere se si vogliono querce, lente ma durature, o zucche, rapide ma effimere.
Il nuovo governo rischierebbe di scegliere la politica della zucca, se percorresse la strada della misura estemporanea. Con questa politica si finirebbe con il suonare la stessa musica del centro-destra, contrapponendo però il tintinnio di pochi soldi al frastuono della cascata di denaro attesa dalla flat tax. Sarebbe una politica del far presto per far colpo sugli elettori, mirata al futuro assai prossimo delle prime elezioni a venire. Una politica da meri politici, direbbe De Gasperi.
Se invece – come emerge dalle dichiarazioni del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri – si scegliesse la politica della quercia, allora vorrebbe dire che si è deciso di intraprendere una strutturale riforma dell’Irpef, avendo come obiettivo le elezioni del 2023, ma, più ancora, le generazioni future: una politica da statisti, direbbe De Gasperi.
Questo significherebbe poter sfruttare le quattro leggi di bilancio che ci separano da tale data, per una graduale attuazione di un piano sistematico, con pochi ma essenziali obiettivi: sostituire le detrazioni decrescenti e gli assegni familiari con un minimo esente fisso per tutti a base familiare, ridurre le prime tre aliquote e razionalizzare le spese fiscali. E significherebbe poter usare le risorse messe a disposizione da fattura e scontrino elettronici, specialmente se tali misure saranno adottate per tutte le partite Iva, inclusi i soggetti a forfait.
Una siffatta riforma avrebbe ricadute positive per l’occupazione e l’onestà fiscale. Essa eliminerebbe la peggiore distorsione dell’attuale Irpef: l’esistenza, dietro la facciata delle cinque aliquote di legge, di ben diverse aliquote marginali effettive. Si tratta delle percentuali che misurano l’effetto combinato di aliquote legali, detrazioni e addizionali Irpef, nonché degli assegni di famiglia; esse ci dicono che, già poco dopo i 15mila euro, il prelievo su un euro aggiuntivo di reddito passa da zero al 40% per un lavoratore dipendente e quasi al 30% per un autonomo (entrambi con famiglia a carico). Un potentissimo disincentivo a guadagnare di più e quindi al lavoro; e, per converso, un incentivo al lavoro in nero e all’evasione.
L’alternativa di fronte al governo, quindi, per quanto rustica nella formulazione, è chiara: o zucca o quercia. E se fosse quercia, sarebbe bene iniziare subito, con una commissione che non si limiti allo studio, ma predisponga un progetto di legge. Se si deve piantare un albero, dice un proverbio africano, il momento migliore era venti anni fa; altrimenti, è adesso.
Ernesto Maria Ruffini, Corriere.it