Caro Cesare,
ha fatto bene Riccardo Ruggeri a tentare un’analisi oggettiva di Francesco senza «alcuna sudditanza verso il Bergoglio uomo» e hai fatto bene tu a diffonderla nella tua lettera quotidiana. Promettente, poi, è l’approccio che usa e dichiara, anche evidenziandone onestamente il possibile
limite: «Conoscere Bergoglio attraverso il suo linguaggio, questo è stato il mio obiettivo fin dal primo giorno, non è per nulla semplice». Già non è facile e, mi permetto di osservare, che proprio questa consapevolezza avrebbe dovuto indurre l’autore dell’esperimento ad un maggiore rigore metodologico. Il Francesco di Ruggeri è un personaggio di spessore che si è ben costruito (artefatto dunque!) occultando la preparazione teologica e culturale per conquistare la gente: «Quando ripulisci il suo linguaggio da comprensibili astuzie linguistiche […] capisci che è assai più attrezzato intellettualmente di quanto voglia far apparire». Ma perché non pensare che uno possa essere davvero quello che appare? E poi, cosa caratterizza un bravo studioso? Il parlar difficile o la fondatezza del suo dire anche semplicissimo? Personalmente diffido del parlar difficile, indice per lo più di insufficiente assimilazione degli argomenti affrontati, mentre chi ha capito sa e può arrivare alla perfezione di esporre cose complessa con estrema naturalezza, per rifarmi a un detto comune “parlando come mangia”. Ruggeri aggiunge: «Quando lo senti parlare capisci che il suo è un italiano eccellente, astutamente lo declina in modo popolare, però mai lui pensa in italiano, sempre in spagnolo». Ma chi mai ha rivelato a Ruggeri che Bergoglio pensa sempre in spagnolo? Io, torinese, che in famiglia parlavo italiano, cresciuto durante la guerra in un paesino in cui usavo sempre il piemontese, parlo e penso indifferentemente in italiano e in piemontese. Bergoglio è cresciuto in Argentina in una famiglia piemontese dove Nonna Rosa (quella che gli ha più insegnato anche in tema di educazione religiosa) gli parlava sempre in piemontese. Questo è noto e lui stesso lo ricorda spesso. Allora in che lingua pensa Bergoglio? In spagnolo o in piemontese? Non è irrilevante per valutare il ragionamento di Ruggeri che, a proposito delle già citate «comprensibili astuzie linguistiche», aggiunge «mi sia consentito, un po’ da oratorio (la corruzione spuzza)». Al pari dei tanti opinionisti che si sono divertiti intorno a quella buffa locuzione, nemmeno Ruggeri ha capito donde venga, quando invece è lampante: viene dal piemontese di Nonna Rosa, dove “puzza” si dice “spusa” (con la u francese e la s spessa) e quello «spuzza» usato da Bergoglio più che una «astuzia linguistica» si mostra per un banale comprensibile errore, scritto e pronunciato da chi non si cura di farsi abbellire la forma da qualche professionista preferendo esprimersi senza ritocchi nei passaggi che contano. Risultato: c’è il rischio che Francesco-Bergoglio sia sempre davvero lui, senza superfetazioni. Così l’ho percepito dal primo minuto. Altri possono avere qualche difficoltà in più a credere che ci sia qualcuno che evita di darsi un’immagine preferendo che emerga sempre e solo ciò che egli è, ma alla fine anche questi dovranno convincersene. Un’ultima osservazione. Ruggeri non avrà trascurato Nonna Rosa anche perché Bergoglio è gesuita e i gesuiti «nell’opinione pubblica, e persino nei romanzi, vengono associati al machiavellismo, alla
sete di potere»? Allora anche Carlo Maria Martini, di grazia? E, se non Martini, perché Bergoglio? Forse per riuscire in un tentativo come questo, utile e difficile, occorrerebbe liberarsi da qualche stereotipo in più. Grazie comunque a Riccardo Ruggeri per aver cominciato e all’amico Cesare per avercelo mostrato alle cinque della sera!
Bruno Musso