Dall’olio ai legumi, così tre grandi chef del Sud rendono moderna e creativa la cucina mediterranea
Metti una sera a cena la Dieta Mediterranea. Con tanto di maiuscole, meritatissime dopo l’iscrizione nel palmares Unesco. Gli ingredienti sono quelli che tutto il mondo ci invidia: extravergine e legumi, verdure e cereali integrali, formaggi di capra e pecora, pesce (soprattutto azzurro), fichi secchi, noci, mandorle. Il tutto battezzato da un buon bicchiere di vino, meglio se rosso.È la dieta dei contadini–pescatori che abbraccia quasi per intero il bacino del Mediterraneo, dalla Grecia al Portogallo, passando per il nostro Sud. Dietro ai suoi fruitori, le mani di chi coltiva, alleva, pesca, lontano dai numeri (e dai comandamenti correlati) delle produzioni industriali, utilizzando saperi tramandati in famiglia o ripescati dal pozzo della cultura alimentare collettiva. E poi ci sono loro, i grandi cuochi, capaci di leggere le materie prime e tradurle in piccoli capolavori culinari, grazie a un mix straordinario di tecnica, sensibilità e capacità creativa, arricchito dalla santa alleanza con gli artigiani del cibo. Abbiamo scelto tre talenti, figli del genius loci che abita le terre amate dal dottor Ancel Keys, per raccontarci il loro rapporto con la Dieta mediterranea.
Caterina Ceraudo: cremosa rotondità con gli “gnocchetti di ricotta di pecora con crema di peperoni”.
“La storia della nostra azienda è cominciata negli Anni 80 grazie a mio padre Roberto, agricoltore convertito al biologico dopo un’intossicazione da pesticidi. È lui a gestire la campagna con mio fratello Giuseppe, mia sorella Susy si occupa del relais e io della cucina. Qui le materie prime sono povere, ma in realtà ricchissime. Cerco di rispettarle: per esempio, non soffriggo, ma parto da una base con acqua e il nostro extravergine. I miei tesori? Il fagiolo poverello cotto sul camino, i fagioli, le cicerchie, i ceci, i formaggi di pecora e capra, il pesce azzurro delle nostre coste: sarde, alici, spatole, sgombri. La modernità risale a un tempo antico, quando si mangiava carne una volta al mese. La Calabria ha avuto un progresso lento, poco o niente agricoltura intensiva. Siamo rimasti indietro, ma è stata anche la nostra fortuna”.
Nino Di Costanzo: il trionfo dell’orto, “Spaghettoni Gerardo di Nola ai Cinque pomodori”
“Ho imparato ad amare la Dieta mediterranea da ragazzino negli Stati Uniti, dove veneravano i nostri piatti tradizionali, mentre noi non gli davamo abbastanza valore. Ho capito che non era importante imparare la ricetta, ma la tecnica, per presentare i piatti della tradizione, dal coniglio di fossa profumato con la piperna (timo selvatico) ai fagioli zampognari, dai pesci ai legumi, in maniera diversa. Qualche tempo fa, una famiglia di giapponesi ha mangiato a occhi chiusi i miei spaghetti ai cinque pomodori. Dicevano che vedevano e sentivano l’isola attraverso il piatto! Non è difficile, dico io, se ti allei con i maestri artigiani del territorio e valorizzi i loro prodotti, per esempio la mozzarella di Ferdinando Cozzolino, la pasta di Giovanni Assante. Personalmente, obbligherei tutti i ristoranti italiani a tenere in carta gli spaghetti al pomodoro. È un fatto culturale”.
Ernesto Iaccarino, il super pesce azzurro “spaghetti aglio e olio con alici e noci”
“Quarant’anni fa, i miei genitori hanno rivoluzionato la ristorazione della Costiera. I modelli precedenti erano quelli della grande cucina francese: foie gras, ostriche, salse. Non si davano pace: abbiamo del pesce azzurro fantastico, la tradizione della pasta, i legumi, le verdure che non hanno pari al mondo. Poi incontrarono Ancel Keys, che volle mio padre a cucinare la cena per i suoi 60 anni a Pioppi, nel Cilento. L’intuizione iniziale è diventato studio, la consapevolezza scientifica ha supportato la pratica. Abbiamo aperto il Don Alfonso in tutti i cinque continenti, grazie a imprenditori innamorati della nostra filosofia. In cucina non posso prescindere dall’olio e dal pesce pescato. Il business si sta spostando dalla terra al mare, tra dieci anni si scopriranno i guai degli allevamenti ittici intensivi. Spero che il mondo se ne accorga per tempo”.
Licia Granello, repubblica.it