(a cura di Camilla Santoro e Emanuela Bruco)
- Secondo lei sarebbe opportuno regolamentare le nuove professioni emerse nell’ambito della comunicazione digitale (blogger, vlogger, influencer)?
Più che regolamentare ritengo necessario identificarle. Sono infatti centinaia le specializzazioni che l’avvento del digitale e l’evoluzione delle piattaforme ha prima incubato e poi generato. Percorsi formativi lontanissimi dalla comunicazione hanno proposto sul mercato figure professionali di vitale importanza per le Agenzie come, ad esempio, gli Ingegneri Gestionali. Altre professionalità si sono formate sul campo, non esistendo ancora percorsi formativi dedicati: User Experience Designer, Data Analist solo per fare un paio di esempi. Emergono quindi urgenti necessità una approfondita analisi di scenario, uno studio di ciò che rappresenta oggi la comunicazione potrà consentire a noi stessi operatori di meglio orientarci, evitando pericolosi fraintendimenti e approssimazioni.
- Alla luce di queste nuove figure professionali legate principalmente alla sfera web e “digital”, perché secondo lei le università italiane continuano a proporre prevalentemente corsi di laurea in comunicazione obsoleti e poco innovativi costringendo i giovani a seguire costosi corsi a pagamento?
In realtà diverse Università hanno inaugurato nuovi corsi di specializzazione e alcuni Master non solo in linea con quanto chiede oggi il mercato, ma anche in grado di guardare al futuro ipotecando le prossime necessità. Un esempio virtuoso su tutti, lo IULM. I laureati provenienti da queste Università vocate al futuro trovano sistematicamente lavoro in poche settimane dopo la Laurea, se non immediatamente.
- Secondo lei, quale caratteristiche definirebbero un buon “comunicatore”?
Le vere caratteristiche di un buon comunicatore moderno, riassunte in poche parole: autorevolezza, trasparenza, senso etico e, soprattutto, pensiero strategico. Valori antichi, quindi, inossidabili nel tempo: cambiano le tecniche ma il valore dei contenuti rimane.
- Pensa che ci sarà mai un ordine dei comunicatori o sono sufficienti le associazioni già esistenti?
Più che un’ordine, concetto a mio parere abbondantemente superato, sarebbe opportuno riconoscere la professione di Comunicatore varando un nuovo contratto di lavoro dedicato. Poi, un tavolo di confronto tra Comunicatori, Informatori, Editori e Governo potrebbe ridisegnare questo mercato, rendendolo adeguato a sostenere le nuove sfide: un nuovo fondo pensionistico che possa sostituire l’Inpgi e rendersi appetibile a Giornalisti e Comunicatori, senza penalizzare nessuno. Nuove regole di ingaggio necessarie per garantire retribuzioni dignitose a tutti i professionisti coinvolti. Un attento e costante monitoraggio delle Gare, pubbliche e private, per evitare errori nella stesura dei bandi. Errori dovuti, appunto, ad una scarsa conoscenza dell’attuale configurazione del mercato.
- Un buon giornalista può essere anche un buon direttore della comunicazione?
Certamente. Ma non solo un Giornalista, conosco personalmente decine di Avvocati, Commercialisti e Architetti che potrebbero dedicarsi con grande successo alla carriera di comunicatore. Fondamentale, però, non fare confusione: se comunico, lo faccio perché incaricato da un cliente e pagato per questo. Quindi il mio progetto di comunicazione sarà certamente ben costruito, attento al rispetto dei fondamenti etici, trasparente e sostenibile. Ma non sarà frutto di una mia opinione. Se, invece, informo lo faccio perché incaricato da un Editore o, spesso, perché titolare di un blog o di una piattaforma adatta allo scopo. In questo caso, esprimerò il mio pensiero e risulterò estremamente autorevole agli occhi del lettore. Capiamo bene, quindi, i motivi per cui una professione non esclude l’altra, ma va fatta chiarezza: con quale abito sto producendo contenuti? Altrimenti metteremmo davvero a rischio la libertà di informazione e il diritto di chi fruisce dell’informazione di poterlo fare senza rischio di manipolazioni. Mettere a rischio la libertà di informazione significherebbe mettere a rischio la Democrazia.
- Secondo lei, perché per accedere alle più note categorie professionali (avvocato, notaio) occorre il conseguimento di una laurea specifica mentre il mestiere del giornalista è aperto e percorribile da chiunque, anche con il solo diploma?
Il valore professionale di un Chirurgo è misurato dalla quantità e dalla qualità dei percorsi di preparazione sostenuti, verificati poi quotidianamente sul campo. Lo stesso si può dire di un Avvocato o di un Commercialista. Un produttore di contenuti viene valutato dal pubblico che legge e assistiamo, soprattutto ultimamente, a clamorosi successi ben poco razionalizzabili con le preoccupanti conseguenze di cui siamo testimoni. Un livellamento culturale verso il basso, l’incapacità di approfondire, l’azzeramento del senso critico…. Sono dell’idea che anche il mestiere del Giornalista o, in altri casi, del Comunicatore, dovrebbe vedere garantito un solido percorso formativo a monte. Ma, come dicevo prima, la drammatica confusione che regna sul mercato non aiuta. Mi auguro quindi che ciò che è stato avviato con gli Stati Generali dell’Editoria e della Comunicazione venga portato a termine, e che venga portato a termine nella maniera più logica, trasparente e condivisibile possibile, senza interventi di Lobby e senza pressioni politiche ed economiche. Nell’interesse di tutto il nostro Paese.