L’economia italiana, insieme con quella europea, è in frenata a causa delle tensioni geopolitiche e della guerra commerciale Usa-Cina che ha provocato un rallentamento degli scambi mondiali. In questo contesto il governo deve evitare di scegliere la scorciatoia di aumentare il deficit, avverte il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle Considerazioni finali: «Limitarsi alla ricerca di un sollievo congiunturale mediante l’aumento del disavanzo pubblico può rivelarsi poco efficace, addirittura controproducente quando determini in peggioramento delle condizioni finanziarie e della fiducia della famiglie e delle imprese».
La manovra fiscale e i tagli alla spesa
Per Visco bisogna evitare il rischio della espansione restrittiva», da non sottovalutare, ovvero che «l’effetto espansivo si una manovra di bilancio può essere più che compensato da quello restrittivo all’aumento del costo dei finanziamenti per lo Stato e per l’economia». Non dà numeri, il governatore, dato che tra pochi giorni usciranno le previsioni della Bce. Ma il pil dell’area euro, secondo le principali istituzioni internazionali, dovrebbe essere di circa l’1% quest’anno è attorno all’1,5% nel 2020 anche se «non è trascurabile il rischio di un andamento meno favorevole». Per questo motivo bisogna contenere lo spread. «L’elevato rapporto tra debito pubblico e Pil rimane un vincolo stringente; per allentarlo non si può ritardare nel definire una strategia rigorosa e credibile per la sua riduzione nel medio termine».
Disciplina di bilancio
Per frenare la salita dei tassi serve «un’attenta disciplina di bilancio e solide prospettive di ritorno a più alti tassi di crescita dell’economia». Al governo rivolge un avviso: il rallentamento congiunturale tende ad accrescere il disavanzo pubblico per l’anno in corso. E l’aumento dell’incidenza del debito sul Pil potrebbe superare quello indicato nei programmi del governo (pari a quasi mezzo punto percentuale), che scontano tassi da privatizzazioni per quasi 18 miliardi (un punto percentuale del prodotto).
Lo spread, l’Italia e l’euro
I mercati ancora sospettano che l’Italia voglia uscire dall’euro: «I premi sui credit default swaps indicano che sia il rischio di credito sia quello di ridenominazione del debito in una valuta diversa dall’euro continuano a spingere verso l’alto i rendimenti dei titoli di Stato italiani; sono rischi strettamente collegati che in situazioni di tensione possono acuirsi, nella percezione dei mercati, in modo repentino». Tutto questo ha un costo in termini di minore crescita: senza contare gli effetti negativi sulla fiducia di famiglie e imprese, rendimenti delle obbligazioni pubbliche di 100 punti base più alti determinano una riduzione del Pil 0,7% nell’arco di tre anni.
Le clausole Iva
In questo contesto, Visco richiama agli effetti che potrebbero derivare da un mancato aumento dell’Iva, cioè dalla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia già previste per la manovra 2020. Se cancellate «senza compensazione» s i avrebbe un avanzo primario «inferiore a mezzo punto percentuale» che «non sarebbe compatibile con la riduzione dell’incidenza del debito» sul Pil, facendo alzare il costo dei titoli di Stato. Se si vuole non toccare l’IvaA vanno trovate «misure compensative valutando per le varie opzioni in maniera accurata e trasparente i potenziali effetti sulla domanda, l’attività economica e la distribuzione dei redditi».
L’importanza dell’Europa
blemi reali». Perché – ricorda Visco – saremmo stati «più poveri senza l’Europa, lo diventeremmo se dovessimo farne un avversario. Quelli che sono talvolta percepiti come costi dell’appartenenza all’euro sono in realtà – avverte Visco – il frutto del ritardo con cui il Paese ha reagito al cambiamento tecnologico e all’apertura dei mercati. Quasi tutti gli altri paesi hanno fatto meglio di noi».
L’importanza dell’immigrazione e i giovani
In un Paese che invecchia più della media europea (nei prossimi 25 anni gli over 65 saranno il 33% della popolazione in Italia, contro il 28% della media della Ue) «l’immigrazione può fare un contributo alla capacità produttiva del Paese, ma vanno affrontate le difficoltà che incontriamo nell’attirare lavoratori a elevata qualificazione». I laureati stranieri in Italia sono il 13% del totale, «meno della metà di quella media registrata nell’Unione».
Inoltre c’è un tema specifico del Mezzogiorno. «Le difficoltà italiane sono amplificate nel Mezzogiorno, che ha risentito più del resto del paese della doppia recessione. Le regioni del meridione stanno subendo un ulteriore impoverimento per l’emigrazione delle loro risorse più giovani e preparate, in massima parte verso il centro nord del paese» ha aggiunto Visco. «Negli ultimi dieci anni il saldo migratorio complessivo è stato leggermente positivo, ma si è osservato un sensibile deflusso netto di giovani laureati».
La quota di giovani che lasciano l’Italia, «riflesso dei ritardi strutturali dell’economia», è quintuplicata nell’arco di dieci anni allo 0,5% del 2017; quella dei laureati, pari allo 0,4%, è raddoppiata.
Fabrizio Massaro, Corriere.it