Si chiama Katie Bouman e ha 29 anni. Con il suo team ha creato un software in grado di unire masse di dati in un’unica immagine coerente
Questa settimana abbiamo potuto osservare un’immagine che si pensava fosse invisibile: per la prima volta è stata catturata la «foto» del buco nero. E la donna che ha sviluppato l’algoritmo che ha reso possibile questo traguardo ha solo 29 anni: si chiama Katie Bouman. Era una studentessa di dottorato in Informatica e Intelligenza Artificiale presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) quando si è unita alla squadra che lavorava al progetto. Con il suo team (MIT e Max Planck Institute di Monaco di Baviera), ha creato un software in grado di unire masse di dati raccolti dal telescopio Event Horizon (EHT), una rete di otto radiotelescopi che «coprono» posizioni in tutto il mondo, dall’Antartide alla Spagna e al Cile, in un’unica immagine coerente.
Bouman faceva parte del gruppo di 200 ricercatori che hanno reso possibile questo risultato. Mercoledì ha pubblicato la foto del momento in cui l’immagine del buco nero si è materializzata sullo schermo del suo computer: lo scatto è già diventato virale e passerà alla storia, perché il ruolo della scienziata è stato determinante.
Sebbene avesse studiato informatica e ingegneria elettrica, e non astrofisica, Bouman, con il suo team, ha lavorato per tre anni alla costruzione del codice di imaging. Una volta costruito l’algoritmo, ha lavorato con decine di ricercatori EHT per altri due anni, testando i modi in cui si potesse progettare l’immagine del buco nero. Ma solo a giugno dell’anno scorso, quando finalmente sono arrivati tutti i dati del telescopio, Bouman e un piccolo gruppo di colleghi ricercatori hanno potuto riunirsi in una piccola stanza ad Harvard e mettere alla prova il proprio algoritmo.
Con un post su Facebook, la scienziata ha sottolineato l’importanza della collaborazione che ha reso possibile l’imaging del buco nero. «Nessun algoritmo o persona ha creato questa immagine: c’è stato bisogno del sorprendente talento di un team di scienziati di tutto il mondo i e anni di duro lavoro per sviluppare lo strumento, l’elaborazione dei dati, i metodi di imaging e le tecniche di analisi necessarie per portare a termine quest’impresa apparentemente impossibile. È stato davvero un onore, e sono stata così fortunata ad aver avuto l’opportunità di lavorare con tutti voi».
La scoperta è stata fatta a giugno, è stata presentata al mondo solo mercoledì. Bouman, che è attualmente post – doc al MIT, è destinata ad avere un posto come assistente al California Institute of Technology, ma intende continuare a lavorare con EHT. In un discorso al TED del 2016, aveva detto: «Vorrei incoraggiare tutti voi a spingere oltre i confini della scienza, anche se a prima vista potrebbero sembrare misteriosi come un buco nero».
Monica Coviello, Vanity Fair