È una donna vestita di bianco il simbolo della protesta in Sudan. Come lei sono sempre di più le leader al femminile
È una donna vestita di bianco il simbolo della protesta in Sudan. È stata ripresa mentre guida i canti di protesta dei manifestanti contro il presidente sudanese Omar al-Bashir. Il suo nome è Alaa Salah, ha 22 anni e studia di ingegneria e architettura all’Università internazionale di Khartoum. È sopra una macchina, in alto sopra tutti gli altri e circondata dalla folla.
È l’immagine che rimarrà della protesta in Sudan dove è in un colpo di stato da parte dei militari con il palazzo presidenziale di Karthoum, circondato dalle truppe.
Le forze armate presidiano le principali strade della città oltre alla sede della televisione e della radio. Il colpo di stato è arrivato dopo settimane di protesta contro il capo dello stato Omar Al Bashir, da trent’anni al potere e che sarebbe già stato deposto.
L’esercito sudanese ha annunciato la formazione di un consiglio militare di transizione. L’Associazione dei professionisti sudanesi, che ha guidato le proteste, dice invece che accetterà solo il passaggio di potere a un governo di transizione civile.
La protesta è partita dopo un aumento dei prezzi dei generi alimentari di base. Migliaia di persone sono scese in piazza e fra loro anche colei che è stata ribattezzata «Kandaka», la Regina nubiana. Nubia è il nome che nell’antichità aveva la zona del Sudan. La fotografa Lana Haroun che ha scattato l’immagine circolata insieme al video con migliaia di retweet sui social ha detto alla Cnn che era sul tettuccio di un’auto e «cercava di dare a tutti speranza ed energia positiva. Rappresentava tutte le donne e le ragazze sudanesi e le ha ispirate, tutte quelle presenti al sit-in. Raccontava la storia delle donne sudanesi, era perfetta».
In Sudan le donne sono state da subito in maggioranza alle manifestazioni contro al-Bashir e hanno protestato partendo dalle loro radici e tradizioni. Alaa Salah ha raccontato al Guardian di aver partecipato alle proteste anti-Bashir sin dall’inizio, dallo scorso dicembre: «Perché i miei genitori mi hanno insegnato ad amare il mio paese». Secondo chi ha studiato le immagini gli abiti bianchi, omaggio alle donne che hanno combattuto la dittatura militare dagli anni Sessanta, e gli orecchini dorati a forma di luna che indossa sarebbero «un omaggio alle donne che lavorano». Il giorno del video diventato virale ha scandito un poema: già cantato nelle precedenti proteste: «I proiettili non uccidono, quello che uccide è il silenzio».
Dall’Africa agli Stati Uniti passando per la Svezia e il Cile sono sempre di più le donne che scendono in piazza a guidare le proteste per i loro diritti, ma anche per quelli dei loro paesi e della Terra intera. Alcune delle loro storie sono nella gallery in alto.
Chiara Pizzimenti, Vanity Fair