Numeri deludenti per lo Stato dalla cosiddetta “tassa Airbnb”, l’imposta sostitutiva al 21% sulle locazioni brevi introdotta dal governo Gentiloni per far emergere i redditi di chi affitta casa e altri immobili grazie a piattaforme come Airbnb, Booking, HomeAway. Istituita dal governo Dem con la manovrina di aprile 2017, e pensata come misura antievasione per raccogliere maggior gettito in un momento di necessaria correzione dei conti pubblici, nel primo anno (parziale) di applicazione ha raccolto 44 milioni di euro. Nella relazione tecnica del provvedimento, il governo aveva stimato un gettito annuale di 139 milioni di euro.
Secondo i dati dati sulle dichiarazioni dei redditi 2018 elaborati dal Dipartimento delle Finanze, ad aderire sono stati 7.200 contribuenti.
La genesi dell’imposta e la sua applicazione, d’altra parte, sono state assai travagliate. Le grandi piattaforme online che avrebbero dovuto trattenere alla fonte le imposte, agendo da sostituti, fin dalla scrittura della norma si erano opposte fortemente, rifiutandosi di applicare quanto previsto dalla legge e, quindi, di versare al Fisco quanto dovuto.
Una partita che sta andando ancora avanti: soltanto poche settimane fa, infatti, il Tar del Lazio ha bocciato il ricorso presentato da Airbnb contro la cedolare secca da trattenere direttamente dagli utenti. E’ stato solo l’ultimo capitolo di una intricata vicenda: Il Tar del Lazio prima e il Consiglio di Stato poi avevano già bocciato la richiesta di sospensiva, cioè la possibilità di interrompere l’efficacia del provvedimento in attesa del pronunciamento del merito. Lo stesso Consiglio di Stato, oltre un anno fa, aveva però a sua volta chiesto al più presto al Tar del Lazio di esprimersi sulla questione, anche se la sentenza è arrivata soltanto ora. Intanto, a favore di Airbnb, si era invece espressa l’Antitrust, secondo cui la norma sarebbe lesiva della concorrenza, in quanto punirebbe chi utilizza i pagamenti digitali.
Sull’ultima decisione è montata la Federalberghi, che ha benedetto la sentenza del Tar stimando che nell’anno e mezzo di mancata applicazione della tassa, il più famoso dei portali abbia omesso di versare all’Erario 250 milioni di euro. Di contro, Airbnb aveva parlato di delusione per il pronunciamento e annunciato il riscorso al Consiglio di Stato, con vista sulla Corte di Giustizia Europea. Secondo la piattaforma, infatti, il paradosso è andare a pesare su una forma di affitto trasparente, “in un settore, come stimato da Banca d’Italia, in cui 7 pagamenti su 10 avvengono ancora in contanti”. Lo scorso dicembre, in una intervista a Repubblica, il country manager della piattaforma, Matteo Frigerio, aveva dato la disponibilità a rispettare quest’obbligo in cambio di una modifica della norma.
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