Gilda, la donna fragile e desiderata mai tentata dal moralismo del Me too
Dea della femminilità, infelice, insicura. Alcolista e poi precocemente malata di Alzheimer, tormentata da amori complicati, non cedette alle proposte indecenti dei produttori. Ma sposò cinque uomini sbagliati
(di Cesare Lanza per LaVerità) Sullo schermo era la dea della femminilità, dominante: una rirresistibile bomba sexy per gli uomini, un modello di inarrivabile, affascinante eleganza perle spettatrici. Nella vita privata, invece, Rita Hayworth era una donna infelice: insicura, alcolista e poi precocemente malata di Alzheimer, fragile, tormentata da amori complicati. «Ogni uomo che ho conosciuto è andato a letto con Gilda… e si è svegliato con me», raccontava con amarezza Rita, divenuta diva con l’indimenticabile film Gilda. Per tutta la vita timida, riservata, taciturna, tanto schiva da rifugiarsi in una depressiva solitudine. Glenn Ford, il suo partner preferito (con lui anche un intenso flirt durante la lavorazione di Gilda) e per tutta la vita un amico sincero, diceva: «Non solo non si sentiva Gilda, ma non ha neanche mai saputo di essere Rita Hayworth». Non cedette mai alle proposte più o meno indecenti dei produttori. Ma sposò uomini sbagliati, anche quando erano grandi amori: per cinque volte! Un grande amore di certo non fu il primo marito, Edward Judson, di vent’anni più anziano e di attività misteriose. Più che un matrimonio, fu un’alleanza: lei si faceva scudo di lui per non doversi stendere sul «sofà del produttore», proverbiale pecaggio sessuale in uso a Hollywood. Di Ed Judson non si sa quasi nient’altro, tranne che inventò anche il nome d’arte di Rita, diventata sua moglie il 29 maggio 1937. Gli amici di lei lo ricordano come uno che cercava di piazzare la moglie al miglior offerente: voleva sfruttarne al massimo le possibilità commerciali. E non fallì l’obiettivo: nel 1941, Rita Hayworth era considerata una delle ragazze più eccitanti di Hollywood. Insidiata da produttori e registi, rispondeva sempre: «Hai sbaglialo persona». Se l’era sentito dire anche Harry Cohn, boss potentissimo della casa di produzione Columbia, che l’aveva sotto contratto e che nonostante i successi finì con l’odiarla. Quanto a Judson, Rita lo ricordava così: «Mi ha aiutato nella carriera, e si è aiutato con il mio denaro».
LE NOZZE CON ORSON WELLES
Poi, a partire dal 7 settembre 1943 Rita si unì a un grande personaggio da opporre alle malizie dell’ambiente hollywoodiano: Orson Welles, sposato per travolgente reciproca passione. Lei era già molto più di una stellina, era reduce da un grande successo, Sangue e Arena, e lui era un genio, affascinante e rompiscatole. Nella notte di Halloween del 1938 aveva terrorizzato l’America con un programma radiofonico, presentato come un reportage in diretta dello sbarco dei marziani. E nel 1941 aveva scandalizzato Hollywood con Quarto potere. Orson è un terribile egoista. Persino la figlia Rebecca – una gioia infinita per Rita che l’ha partorita con il cesareo – gli dà ombra. Ha paura che Rita lo voglia ingabbiare nel ruolo di papà. L’unica occasione di lavoro comune, La signora di Shanghai, lui regista e attore, lei protagonista femminile, si trasforma in un dramma. Rita sente franare il matrimonio (intanto il flirt con Glenn Ford è una consolazione), però è contenta di lavorare per «Orsie», perché è convinta che lui la valorizzerà come attrice completa. Invece Welles distrugge l’immagine della moglie: le fa tagliare i capelli e glieli fa platinare. E Rita si sente maltrattata e umiliata. Un’altra delle grandi pettegole di Hollywood, Edda Hopper, vedendoli sul set, osservò: «Un matrimonio così non può più funzionare». Difatti, il film era ancora in postproduzione, quando Rita e Orsie si separano. Il divorzio è sancito il 1° dicembre 1948. Rita commentò: «Ero stanca di essere moglie al venticinque per cento. Notte dopo notte mi lasciava da sola. Si interessava soltanto a sé stesso. Impossibile vivere con un genio». Ma molti anni dopo, il ricordo si addolcì: «Era tormentato, possessivo, insicuro. Ma era un genio, pazzo come un cavallo e un uomo meraviglioso, completamente staccato dalla realtà».
L’ULTIMA NOTTE
I ricordi di Orson sono molto più crudi: «I parrucchieri e tutti quanti cominciarono a montarla, a metterla in allarme, raccontandole che scopavo quella e quell’altra». Lei lo cacciò di casa. Lui però la amava. «Ma ormai non sessualmente. Dovevo metterci tutto l’impegno per scoparla. Era diventata… era diventata l’icona del desiderio. Ma voleva soltanto essere una casalinga. Quando per poco non morivo di epatite mi rimase accanto cinque mesi senza mai fare altro che accudirmi, finché guarii». Una notte, mentre Orson Welles era a Roma a lavorare all’Otello, lei gli scrisse di raggiungerla subito ad Antibes. «Viaggiai su un cargo, in piedi, in mezzo ai pacchi». Arrivò all’hotel, salì nella suite. «Lei venne ad aprire la porta in négligé, con i capelli sciolti, fantastica. Mi guardò in lacrime e disse: “Avevi ragione tu, siamo fatti l’uno per l’altra; ho sbagliato”. Ma ormai ero pazzo di un’italiana e dovevo tornare da lei a tutti i costi». Lo disse a Rita, che si mise a piangere e gli chiese con un filo di voce di tenerla stretta un’ultima volta, quella notte. «Così la tenni stretta. E nient’altro. Mi si addormentava il braccio. Controllavo l’orologio per vedere se sarei riuscito a tornare a Roma con il volo del mattino». Welles aveva anche iniziato Rita a una brutta abitudine: l’alcol: lui, un bicchiere di whisky, se lo scolava come acqua fresca. La «dea dell’amore» con i film successivi arriva alla massima popolarità, è una celebrità internazionale. Ed ecco un altro incontro sbagliato. Rita è in Costa Azzurra per una breve vacanza. Elsa Maxwell, giornalista mondana e vera regina della café society mondiale, organizza a Cap d’Antibes un party in suo onore. Vuole farle incontrare il principe Ali Salomone Khan, figlio del capo spirituale degli islamici ismailiti, con la fama di raffinatissimo amatore.
IL MARITO PRINCIPE PLAYBOY
E così il 27 maggio 1949 Rita Hayworth, nella cittadina francese di Vallauris, diventa la moglie del principe. Purtroppo, per Rita, la fama di Ali non era usurpata: le sue attenzioni amorose e la sua sensibilità superavano qualsiasi immaginazione. Lei confessò: «Il mondo era magico quando si stava con lui». Ma la magia non va oltre la nascita della principessina Yasmin, si polverizza nel giro d’un paio d’anni. Anche Ali desidera Gilda, non lei. E sfidava la moglie, aizzandone l’ira. Tutto l’entourage del principe sapeva che lui preferiva Rita in collera, era estasiato dalle sue scenate, degne di Gilda 0 Carmen: per lui, un afrodisiaco. Il loro autista, Emrys Williams, ricordava: «Rita aveva un temperamento focoso e faceva volare i libri, quando si arrabbiava. Talvolta pareva un gatto selvatico. Com’era bella quand ‘era in collera!». Ali aveva continuato la sua vita brillante, circondato da amici e amiche, tutte belle, tutte giovani. Nell’aprile del 1951 vivono già vite separate (il divorzio è del 26 gennaio 1953): Rita dopo un lungo soggiorno in Europa ritorna negli Stati Uniti. I giornalisti: «Dobbiamo chiamarla principessa?». «Voglio essere chiamata semplicemente Rita Hayworth», è la risposta orgogliosa. E II suo commento sul divorzio è lucido: «Ali viveva condizionato da impegni mondani. Nella sua scala di valori, l’ordine era questo: prima i cavalli, poi i ricevimenti, poi io». Rifiuta anche, con gesto raro nei divorzi, l’assegno che Ali Khan è disposto a versarle. La sua vita sentimentale registra altri colpi di scena: nel 1953 sposa l’attore e cantante Dick Haymes (che lascia nel 1955) e nel 1958 il produttore James Hill (divorzio nel 1961). Ma se con Orson Welles e Ali Khan si era fatta portare dal cuore, gli ultimi due matrimoni sembrano propiziati dalla paura della solitudi ne. Di sé diceva: «Quello che mi sorprende della vita non sono i matrimoni che falliscono, ma quelli che durano… Però quando sei innamorata, vivi, diventi importante». Rita sfiorisce, usurata dal tempo e dall’alcol. Un vizio che la leggenda voleva devastante, nel suo tramonto. Oggi sappiamo che era una cattiveria. A metà degli anni Settanta, durante una apparizione in una serata di gala, si nota che si muove esitante e barcolla vistosamente. Gli invitati sussurrano: «È ubriaca». Invece, sono i suoi primi passi nel delirio e nel silenzio dell’Alzheimer. Per molti anni, Rita aveva lottato con l’alcolismo. I suoi partner, amici, colleghi e familiari pensavano che i suoi scoppi d’ira fossero legati solo al bere. Ma in realtà, questo e altri sintomi, come l’incapacità di Rita di memorizzare le battute, erano causati da una forma precoce del morbo di Alzheimer. Era frustrata, preoccupata che la sua carriera potesse finire, perciò cercò conforto nella bottiglia. L’attrice aveva solo quarantanni, e le sue amiche e i colleghi associarono il peggioramento della memoria all’alcolismo. La vera causa dei problemi di memoria e della sua strana condotta fu finalmente scoperta nel 1979: le fu diagnosticata la demenza da Alzheimer. E sua figlia, Yasmin Aga Khan, interruppe la propria carriera di cantante per prendersi cura della madre malata. Ronald Reagan, all’epoca presidente degli Stati Uniti e suo ex collega, la ricordò così: «Il suo coraggio e il suo candore e quello della sua famiglia sono stati un grande servizio pubblico, che ha portato l’attenzione mondiale su una malattia per la quale tutti ci auguriamo si possa trovare una cura quanto prima». In seguito allo stesso Reagan fu diagnosticato il morbo. Lui e Rita Hayworth sono tuttora i pazienti affetti da Alzheimer più famosi, le cui condizionihanno contribuito a diffonderne la consapevolezza negli Stati Uniti e nel mondo.
DEBUTTO A 13 ANNI
Era nata il 17 ottobre 1918 a Brooklyn, New York. Morì il 4 maggio 1987, a Manhattan, sempre New York. Fu soprannominata «l’Atomica», «la Dea dell’amore»; e «Ruggine» dal colore rosso intenso dei lunghi capelli. Debutto a 13 anni in un nightclub messicano, ballerina come la madre irlandese, Volga. Figlia d’arte, il padre Edoardo Cansino, spagnolo, era un famoso maestro di danza. Entra nel cinema giovanissima, il primo film di successo è Bionda fragola, poi Sangue e arena, due film con Fred Astaire, L’inarrivabile felicità e Non sei mai stata così bella. Nel 1946 il film che la consacra al mito, Gilda di Charles Vidor, accanto a Glenn Ford, in cui interpreta il ruolo di una dark lady. Il nome di Gilda sarà scritto sulla bomba atomica fatta esplodere sull’atollo di Bikini. Poi con Welles La Signora di Shanghai (1946), nel 1948 Gli Amori di Carmen. Nel 1953 Pioggia e nel 1957 Pal Joey accanto a Frank Sinatra. L’anno dopo interpreta con Burt Lancaster un testo teatrale di successo che Delbert Mann trasferisce sullo schermo, Tavole separate: ottiene una candidatura all’Oscar. Nel 1967 interpreta a Roma L’avventuriero di Terence Young. Il 14 maggio 1987, a sessantanove anni, Rita Hayworth muore a New York nella casa della figlia. Due curiosità. Nel film La Pupa del Gangster, Sophia Loren reinterpreta la famosa scena di Gilda in cui l’attrice si esibisce in Put The Blame On Marne. In un film di Paolo Villaggio, Fantozzi menziona alla figlia sgraziata un’immaginaria attrice, di nome Cita Hayworth.