Qualcuno probabilmente lo avrà trovato sotto l’albero di Natale e, rigirandoselo tra le mani, starà cercando di capire cosa farsene. Perplessità comprensibili: è legittimo dubitare dell’utilità di un cilindro con altoparlante con cui interloquire, ma è anche più facile ipotizzare che a breve l’oggetto diventerà una colonna portante del salotto. Perché gli assistenti vocali, smart speaker in inglese, sono destinati a diventare i nuovi smartphone: dispositivi capaci di trasformare la quotidianità, il modo di informarci, acquistare, consumare intrattenimento e via discorrendo. Anche se pochi, a principio, avevano capito il cambiamento e la sua profondità: chi, vedendo il primo iPhone, nel 2007, aveva intuito che sarebbe diventato impossibile vivere senza?
La scommessa dei colossi della tecnologia è oggi la stessa. Con in più il vantaggio di giocare su un terreno già ampiamente fertilizzato dalle abitudini (e dai vizi) acquisiti nel decennio in cui mandare messaggi vocali è diventato consuetudine, interrogare Google per qualsiasi dubbio un automatismo, acquistare online una comodità quasi irrinunciabile. Anche per questo, forse, l’adozione degli smart speaker, di cuiAmazon Echo e Google Home sono i due modelli più conosciuti di un’offerta alla quale partecipano tutte le aziende tech, sta crescendo negli Stati Uniti a un tasso maggiore di quanto successo a suo tempo per i telefoni (dati National Public Media), e la società di Jeff Bezos annuncia urbi et orbi che Echo è stato l’oggetto più acquistato nel mondo con gli sconti del Black Friday. Italia inclusa.
Quanti ne siano stati ordinati, esattamente, non si sa: nessuna delle grande aziende tech, interrogate da Business Insider, fornisce numeri. E tuttavia i report delle società di analisi raccontano che tra marzo e giugno del 2018 sono stati venduti nel mondo 16,8 milioni smart speaker (dati Canalys), con una crescita del 187%, per un mercato che già oggi vale più di due miliardi e mezzo di dollari (2,68) e che nei prossimi cinque anni quadruplicherà fino ad arrivare, secondo le stime di Gartner, a 11,8 miliardi: un terzo della manovra di bilancio italiana.
Cosa gli acquirenti facciano con i loro assistenti vocali lo si capisce da un’altra ricerca americana: ordinare da mangiare, ricevere aggiornamenti sul traffico, ascoltare ricette, fare chiamate, ascoltare podcast o programmi radio, trovare negozi, ricevere aggiornamenti sui risultati sportivi, fare acquisti online, come mostra la tabella qui sotto
Dati equivalenti sull’Italia non sono disponibili, anche perché gli assistenti di Google e Amazon sono arrivati da noi solo nel 2018 (e la tecnologia di riconoscimento vocale in italiano è ancora lungi dall’essere perfetta), con qualche anno di ritardo rispetto agli Usa, dove il primo ha esordito nel 2015 e il secondo nel 2016.
Ma, come già successo per molte altre rivoluzioni tecnologiche, è probabile che una volta raggiunta una massa critica i comportamenti non saranno molto diversi su questo lato dell’Oceano.
Ed è proprio l’elenco delle attività a rivelare cosa c’è di così importante, a livello economico, negli smart speaker. Non cambieranno infatti solo il mix dei ricavi per chi li produce, ma sono già oggi il nuovo terreno di conquista di una nuova “economia delle App” basata sulla voce, che in questo caso si dovrebbe chiamare più correttamente “economia delle Skill”, cioè capacità: tutte le cose che il vostro assistente potrà fare per voi.
È chiaro quindi che questi oggetti ancora un po’ estranei contribuiranno a delineare un nuovo scenario. Per i big del tech e per tutti i produttori di Skill (familiarizzate con la parola: la sentiremo spesso).
Da un lato, gli acquisti su Amazon fatti semplicemente dicendo ad Echo “Ordina questo e quello” aumenteranno il giro di affari di Bezos, che peraltro da tempo propone anche oggetti a marchio Amazon, destinati a diventare quello che automaticamente Echo selezionerà se non si specificherà diversamente. Parallelamente, Google (e competitor) dovranno capire come mettere a frutto la nuova immensa mole di informazioni che arriverà dagli smart speaker, e che certamente diventerà preziosissima per la pubblicità: il mercato dell’advertising sugli assistenti vocali è valutato da Juniper Research 19 miliardi dollari entro il 2022 – oggi tutta la pubblicità digitale vale intorno ai 250 miliardi – e anche se questi studi sono spesso wishful thinking per addetti ai lavori le potenzialità collegate a una profilazione così precisa non sfuggono a nessuno.
Dall’altra si svilupperà il mercato delle Skill, paragonabile a quello che nell’ultimo decennio ha riempito gli App Store. Ricette? Giochi online? Lezioni di Yoga? Consegne a domicilio? La favola della buonanotte? Previsioni del tempo? Per ogni richiesta, l’assistente vocale avrà una Skill, sarà cioè capace di fornire un servizio o una risposta: esattamente come le App sui nostri telefoni ma azionabili solo con la voce, senza essere costretti a stare incollati allo schermo. E che si integreranno presto con gli altri dispositivi dell’utente e della casa (il frigorifero potrà comunicare quali ingredienti sono a disposizione per una ricetta, per esempio), aumentando vertiginosamente il nostro tasso di dipendenza da questi oggetti e le possibilità che gli stessi offriranno.
Persino alla malridotta industria dell’informazione. Nel mondo anglosassone alcuni editori offrono già servizi di informazione su Echo o Google Home: il Washington Post, di proprietà dello stesso Bezos e quindi ovviamente particolarmente interessato, già nel 2016 aveva una “Skill” specifica per rendere Alexa (questo il nome della voce che parla da dentro ad Echo) capace di intrattenere il pubblico sulle elezioni presidenziali. Il Wall Street Journal offre bollettini sui mercati e notiziari e Sky News sta studiando come realizzare reportage e programmi di approfondimento, pur nella consapevolezza, emersa dalle primissime ricerche effettuate dal Reuters Institute e dall’università di Oxford, che gli utenti sembrano preferire contenuti brevi. Più incoraggiante le possibilità per i modelli di business: gli abbonamenti potrebbero sostituire la pubblicità. Ed evitare il cortocircuito di dispositivi prodotti dagli stessi che guadagnano vendendo la pubblicità agli stessi che fanno i contenuti che stiamo ascoltando. Sulle Skill, servono nuove idee.
Gea Scancarello, Business Insider Italia