“Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai.” – Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, 1929
Questa citazione, ripresa da una delle romanziere moderniste che, per prima, ha trasformato una tecnica narrativa in una stimolazione dell’inconscio, rappresenta il perfetto spirito con cui addentrarsi nella lettura di questo romanzo. La protagonista è lo specchio dell’autrice, Lenita Elena Fabbri. Il dove e il quando sono tracce da seguire, decifrare e interpretare nel corso della lettura.
Tra realtà e sogno, il viaggio inizia dal racconto della confusione emotiva causata dalla fine di una storia d’amore e dalla ricerca dei suoi “perché”. Un’improvvisa sete di risposte ci conduce in una stanza opaca, dove la protagonista in abiti da sposa è avvolta dal suono delle onde del mare e si ritrova vicino a un tavolo su cui giace una risma di carta apparentemente anonima.
Il sogno, come le onde del mare, è un susseguirsi di ricerca di conforto e paura dell’ignoto. Il flusso di coscienza si manifesta attraverso la ricerca di un confronto diretto con l’altra sé, imperturbabile e leggera, e nel volto del padre, nella ricerca della bambina nascosta dentro di sé.
Lo squarcio nell’inconscio, però, è costantemente interrotto dal duro confronto con la realtà. Il flusso di pensieri contrastanti durante gli ultimi incontri con l’uomo amato guida i ricordi della protagonista verso i diversi stadi della relazione vissuta e collidono con i tentativi di comprendere un uomo che, da innamorato, si mostra ora “l’uomo con il dolore addosso”.
Qui, però, l’onirico, alla risma di carte, affianca una scatola bianca contenente delle scarpe, inizialmente troppo grandi, ma destinate a rivelarsi simbolo della propria indipendenza.
Tra il mare, l’uomo, la risma di carta e le scarpe, la risposta si fa chiara nella mente della donna: ritrovarsi e riappropriarsi del tempo, della vita e dei suoi cari.
Recensione a cura di Katherine Puce