All’aumentare dei giorni di lavoro trascorsi in smart working migliora anche l’esperienza lavorativa vissuta dai collaboratori di un’organizzazione. Con una singolare eccezione, in negativo, per le realtà che adottano un modello di quasi full remote, concedendo ai dipendenti la possibilità di lavorare per 4 giorni alla settimana lontano dall’ufficio. È questo uno dei trend principali che emergono dal “Report Smartworking 2024”, la ricerca realizzata da Great Place to Work Italia con l’obiettivo d’indagare il rapporto tra smart-working, soddisfazione lavorativa e produttività aziendale, redatta ascoltando il parere espresso da quasi 21mila collaboratori di 33 organizzazioni che hanno partecipato alla survey Great Place to Work, attive in 10 settori merceologici.Lo smart working, in forme come telelavoro o lavoro flessibile, esisteva in Italia già prima della pandemia, ma era limitato solo a specifiche categorie. Il Covid-19 ha accelerato drasticamente l’adozione di questa modalità d’organizzazione del lavoro, spesso senza dare alle aziende il tempo di sviluppare buone pratiche. Nel 2023, i lavoratori da remoto nel Bel Paese erano pari a 3,58 milioni, in leggera crescita rispetto ai 3,57 milioni del 2022, ma ben il +541% in più rispetto al dato pre-Covid; nel 2024, invece, si stima che saranno 3,65 milioni gli smart worker attivi in Italia. Entrando nel dettaglio dell’indagine promossa dalla realtà mondiale leader per la cultura organizzativa, emerge come il 37% del campione non benefici dello smart working ed il modello più diffuso tra le organizzazioni risulti essere quello ibrido che offre la possibilità di lavorare da remoto per 2 (20%) o 3 giorni (18%) alla settimana; mentre solo in meno di un caso su 10 (7%) i collaboratori lavorano in full remote per l’intera settimana lavorativa. Mettendo a confronto gli ambienti di lavoro d’eccellenza italiani con il campione nazionale che emerge dall’indagine Europe Workforce Survey 2024 si evince come le realtà più virtuose del Made in Italy sposino un modello di lavoro ibrido in più della metà dei casi (56%), con una differenza del +37% rispetto al dato della media nazionale (19%), dove a dominare è ancora il lavoro in presenza (74%). Tra le generazioni al momento attive nel mondo del lavoro la Generazione X (tra 45 e 54 anni) e i Baby Boomer (over 55) preferiscono la collaborazione in presenza, percependo isolamento e ridotta efficacia nel lavoro completamente da remoto. Al contrario, i più giovani gestiscono meglio la collaborazione a distanza ma soffrono la mancanza di socializzazione in ufficio, un aspetto importante per i programmi d’inserimento della Gen Z (under 25). La resistenza al cambiamento verso il lavoro ibrido può essere dunque maggiore tra Baby Boomer, Gen X e Millennial, rendendo fondamentale l’implementazione di una cultura aziendale solida che supporti lo smart working.
La survey realizzata da Great Place to Work Italia ha preso in considerazione una serie di dimensioni a partire dalle politiche organizzative con queste ultime che si devono adattare allo smart working. Le persone maggiormente positive rispetto al tema delle politiche organizzative atte a favorire lo smart working sono le persone che lavorano per 5 giorni a settimana da remoto. In seconda battuta, anche chi lavora in smart per 3 giorni riporta percezioni molto elevate. Da notare invece come per chi lavora per 4 giorni a settimana da remoto vi sia un calo rispetto alla dimensione delle politiche organizzative, quasi a significare che nel passaggio tra lavoro ibrido e “quasi full remote” i bisogni e le percezioni delle persone rispetto al proprio lavoro cambino radicalmente. Un trend che si conferma anche rispetto al tema delle tecnologie, degli strumenti e degli spazi di lavoro messi a disposizione dalle organizzazioni per svolgere al meglio le proprie mansioni: chi lavora 4 giorni a settimana in smart working è più negativo, trovandosi in una zona grigia tra lavoro ibrido e full remote. Passando invece all’analisi dello stile adottato dai leader e dal management aziendale nei confronti dello smart working la ricerca mostra come chi lavora 4 giorni da remoto percepisca più negativamente la leadership, suggerendo che la transizione da ibrido a full remote comporti per il management sfide comunicative e di gestione. Questo “limbo” tra ibrido e full remote impatta negativamente sulla leadership, poiché i responsabili, spesso meno abituati allo smart working, faticano ad adattarsi a questa nuova modalità di lavoro tanto che, secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, meno di un quarto degli impiegati (22%) ritiene di avere un capo smart.
Le analisi di Great Place to Work evidenziano una quinta dimensione cruciale, quella della comunicazione e della cultura aziendale. Per lo smart working e il lavoro ibrido, infatti, è essenziale mantenere una comunicazione efficace e una cultura coesa. I dati mostrano che chi lavora 4 giorni in smart working percepisce meno la possibilità di assentarsi (85%) rispetto a chi lavora da remoto per 3 o 5 giorni (90%). Anche il bilanciamento tra lavoro e vita privata è percepito meno positivamente in chi lavora per 4 giorni in smart (77%), ma le differenze nel confronto con chi è impiegato in full remote (79%) sono minori. Passando all’orgoglio, quest’ultima è l’area tematica meno influenzata dal numero di giorni medi trascorsi in smart working. L’analisi suggerisce, infatti, che il numero di giorni trascorsi in smart working non ha impatto sulla percezione dell’orgoglio verso il proprio lavoro, sui risultati ottenuti insieme o sull’intenzione di restare in azienda a lungo termine. Questo è significativo, poiché sfida l’idea che maggiore distanza dall’azienda riduca l’orgoglio lavorativo. Inoltre, non vi è alcun impatto sulla retention, suggerendo che la volontà di rimanere in azienda dipenda più da dinamiche come relazioni, fiducia e leadership, piuttosto che dal numero di giorni di lavoro in smart working. “L’analisi che abbiamo condotto per analizzare quello che è lo stato dell’arte in Italia sul tema dello smart working parte come sempre dall’ascolto dei collaboratori, la voce delle persone è stata molto chiara, c’è un discrimine evidente tra lavoro ibrido e quello full remote. Cambiano le logiche organizzative, le capacità manageriali, gli strumenti, le tecniche di coinvolgimento e di comunicazione. La scelta va presa quasi a livello del modello di business che si vuole mettere a terra poi organizzativamente – spiega Alessandro Zollo, CEO di Great Place to Work Italia – Il modello ibrido rimane comunque vincente, soprattutto oggi che si sentono eco di restaurazione abbastanza tipici dell’incapacità di adattamento ad un mondo che cambia, e lo fa molto velocemente”.
Spostando il focus sull’innovazione, le analisi mostrano che all’aumentare dei giorni di smartworking aumenta anche nei collaboratori la percezione delle possibilità d’innovazione, con una leggera flessione registrata sempre in chi trascorre 4 giorni alla settimana in smart working. Una via di mezzo, quest’ultima, considerata meno vantaggiosa e che offre dunque ai dipendenti minori possibilità d’innovare rispetto al modello ibrido (3 giorni in presenza e 2 in smart) e alla soluzione full remote. Infine, rispetto alla percezione di equità del salario, i dati mostrano una crescita nella percezione positiva del compenso che va di pari passi all’aumento del numero di giorni trascorsi in smart working. La flessibilità offerta dal modello di lavoro da remoto è in grado di migliorare la soddisfazione economica dei collaboratori e il senso di equità nella distribuzione della ricchezza aziendale, garantendo un migliore equilibrio vita-lavoro, la riduzione dei costi di spostamento e una maggiore autonomia. In sintesi, l’introduzione dello smart working migliora in modo lineare la percezione del salario.