La crescita della Cina rallenta. Nel secondo trimestre del 2024 il Pil è salito del 4,7% su base annua dopo il +5,3% del primo. L’obiettivo fissato dai pianificatori della seconda economia del mondo per quest’anno è al 5% e quindi può essere raggiunto (magari con qualche ritocco cosmetico nei conti). Ma i dati di oggi sono tutt’altro che esaltanti: i cittadini cinesi continuano a spendere poco, i consumi sono saliti solo del 2% a giugno, nonostante i molti appelli del governo ad avere fiducia; cadono ancora i prezzi delle case (-4,5%); nei primi sei mesi di quest’anno i nuovi cantieri sono diminuiti del 23%, gli investimenti nel settore immobiliare del 10%.
«Le basi per una sana ripresa economica e una crescita devono essere consolidate», ha ammesso l’Ufficio statistico nazionale. Il 4,7% di crescita rispetto allo stesso periodo del 2023 è allarmante perché l’anno scorso la Cina scontava ancora la sua uscita lentissima dal sogno del «Covid zero».
Il conclave dedicato all’economia
Dati preoccupanti che sono sul tavolo del Terzo Plenum del Comitato centrale del Partito comunista, aperto oggi con quasi un anno di ritardo rispetto al rituale. Nel conclave sono riuniti per quattro giorni fino a giovedì 18 luglio i 376 membri del Comitato centrale, con sostituzioni dell’ultimo momento perché sotto la scure della campagna contro la corruzione orchestrata da Xi Jinping nel 2023 sono caduti mandarini di primo piano, come il ministro degli Esteri Qin Gang e quello della Difesa Li Shangfu.
Nel calendario della politica cinese si tengono sette riunioni plenarie in cinque anni. E il Terzo Plenum è dedicato alle grandi scelte economiche. Il linguaggio dei comunicati di questo evento è di solito «noioso e fuori moda», spiega la dottoressa Yu Jie del think tank inglese Chatham House, ma le decisioni «hanno segnato la strategia di crescita per gli anni a venire».
Il socialismo alla cinese
Nel Terzo Plenum del 1978 Deng Xiaoping tracciò la nuova stagione di apertura al mercato per portare la Cina fuori dall’isolamento e dal pauperismo imposti dal maoismo puro e duro; nel 1993 sempre nella terza sessione plenaria fu lanciata «l’economia socialista di mercato»; nel 2013 fu sancita la prevalenza delle regole di libero mercato nella gestione dell’industria e dei commerci (promessa di Xi non mantenuta, come dimostra da ultimo la vicenda dei 230 miliardi di dollari di sussidi statali al settore delle auto elettriche).
Giovedì notte, a dibattito concluso, l’agenzia Xinhua pubblicherà un elenco delle decisioni che solitamente comincia così: «Sotto la guida del segretario generale Xi Jinping è stata riaffermata l’esigenza di portare avanti il socialismo con caratteristiche cinesi in linea con la centralità del Partito…».
Non bisogna fare affidamento sul comunicato che riassumerà in modo retorico e involuto il Terzo Plenum. Rileggendo il documento cruciale del 1978, ci si accorge che la parola «mercato» non c’era e le «riforme» erano citate appena due volte. Solo sei anni dopo l’espressione «riforma e apertura» si conquistò un posto nella storia. Xi Jinping ha coniato uno slogan: «Nuove forze produttive per uno sviluppo di alta qualità». La propaganda del Partito lo rilancia incessantemente da mesi.
Molti analisti internazionali sperano che Xi ordini uno stimolo per riaccendere la crescita, perché l’economia cinese (piaccia a no) nonostante lo scontro geopolitico feroce con l’Occidente è decisiva per la crescita mondiale.
Una nuova industria
Yu Jie spiega che l’obiettivo della «nuova forza produttiva di qualità» è costruire un’industria d’avanguardia nell’innovazione tecnologica. Finora la Cina ha seguito (anche rubato) le idee dell’Occidente, ora vuole svilupparne di proprie. È un cambiamento epocale: la precedente politica industriale di Pechino puntava a espandere la quota cinese nel mercato globale, usando l’export per crescere. Ora il governo chiede alle sue imprese di guidare settori nuovi, come l’Intelligenza artificiale.
Uno dei problemi più difficili per il Partito comunista è la distribuzione delle risorse attraverso un controllo centralizzato ancora più stretto. A causa dello scontro geopolitico, la Cina di Xi deve perseguire una politica industriale di autosufficienza tecnologica e scientifica: Stati Uniti, Unione europea, Giappone e Sud Corea non sono più disposte a concedere le loro conquiste innovative all’avversario (l’embargo sulla cessione dei microchip di ultima generazione sono il simbolo). Nel Politburo e nel Comitato centrale Xi ha voluto una pattuglia di uomini di scienza per costituire le nuove forze produttive. Ma i tempi sono lunghi e intanto bisogna puntellare il vecchio sistema, salvare il salvabile nel settore immobiliare, mettere mano alla montagna di debiti accumulati dalle amministrazioni provinciali, pensare alla disoccupazione giovanile che supera il 20 percento tra i neolaureati, rilanciare i consumi interni.
Decifrare il comunicato del Terzo Plenum sarà un esercizio arduo per i pechinologi.
Guido Santevecchi, corriere.it