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Gli osservatori più critici del lavoro di Gabriele Gravina sostengono che il nemico principale del presidente della Figc sia lui stesso. Il fallimento sportivo determinato dall’eliminazione dal recente Europeo, seguito alla mancata qualificazione a due consecutive edizioni di un Mondiale (anche se solo la seconda si è verificata durante la sua gestione), parla da sé. Senza bisogno di ulteriori spiegazioni.
I risultati sul campo non sono nemmeno l’aspetto peggiore della vicenda perché, come ieri ha sottolineato il ministro dello Sport, Andrea Abodi, è l’atteggiamento auto-assolutorio a lasciare sbalorditi. «La partita ormai è chiusa, siamo tornati a casa, ma la cosa che mi ha sorpreso è la ricerca di responsabilità altrui. Penso che di fronte alla sconfitta il primo fattore che deve emergere è l’autocritica e da qui ripartire. È troppo facile guardare le responsabilità degli altri».
Nella conferenza di chiusura a Iserlohn, Spalletti aveva puntato l’indice sui giocatori (denunciando ad esempio la mancanza di coraggio per andare a battere eventuali rigori), mentre il presidente federale aveva ammonito la politica a non violare l’autonomia dello sport. «Ancora una volta lo sport insegna ad assumersi le responsabilità direttamente e non a trasferirle. Questo deve smuovere riflessioni, così che possa esserci un punto e a capo».
Le parole di Abodi, dopo giorni di studiato silenzio, pesano come un macigno. Del resto, i contrasti fra la politica e Gravina avevano già raggiunto il picco di tensione dopo l’introduzione della commissione governativa per il controllo sui conti delle società, che di fatto ha svuotato di poteri la Covisoc.
Ora la disfatta con la Svizzera è stato il detonatore di veleni e rivalità mai sopite. La Lega di A, pur spaccata al suo interno (non si dimentichi il fronte di Gravina con le big per la riduzione del campionato a 18 squadre), attende con il fiato sospeso la discussione nei prossimi giorni in aula dell’emendamento al decreto Sport che, se approvato, le garantirebbe autonomia statutaria e regolamentare dalla Figc oltre a maggior peso elettorale. Sarebbe la vittoria di Claudio Lotito, indubbiamente il principale nemico del presidente federale: le battaglie sull’indice di liquidità, le riforme, il tentativo di abolizione del diritto di intesa sono i noti temi su cui i club hanno battagliato con la federazione.
Le manovre di serie A e B
Peraltro la convocazione a novembre dell’assemblea elettiva ha spiazzato i vertici delle Leghe di A e B. Casini avrebbe preferito discutere dell’opportunità di anticipare il voto nell’ambito di un consiglio federale e non prendendone atto nel corso di una telefonata. La B ritiene che la mancata riforma dei campionati conduce a elezioni con pesi ponderati che non corrispondono agli attuali valori del sistema (la A conta al 12%, la B al 5%). Ecco perché sono in molti a sospettare che davanti a quello che in apparenza sembra un beau geste (ovvero indire elezioni alla prima data possibile) in realtà si celi il desiderio di ricandidarsi di nuovo.
Gravina se si presentasse godrebbe della maggioranza potendo contare sul patto di ferro con la Lega Pro e i Dilettanti (più Allenatori e Giocatori). La variabile può essere rappresentata dagli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria in cui Gravina è coinvolto per appropriazione indebita e autoriciclaggio: Giancarlo Abete nel caso sarebbe pronto all’occorrenza. E in Lega? Lotito e De Laurentiis spingono per la riconferma di Casini ma occhio alle big e alla presentazione di un eventuale loro profilo. La partita è lunga.
Monica Colombo, corriere.it