Spegne la sua prima «candelina» la legge sull’equo compenso per le prestazioni effettuate per conto di imprese bancarie e assicurative, per le loro società controllate e mandatarie e, nel complesso, per le realtà produttive con più di 50 addetti, oppure che abbiano conseguito un fatturato superiore ai 10 milioni nell’anno antecedente a quello in cui si sono avvalsi dell’attività del professionista: il 20 maggio dello scorso anno, infatti, la disciplina sulla giusta remunerazione degli iscritti a Ordini, Collegi e dei lavoratori autonomi riuniti in associazioni (legge 49/2023) entrava in vigore, dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
E, a seguito di tre passaggi parlamentari, il provvedimento, frutto dell’unificazione di una proposta depositata a Montecitorio dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni nell’ottobre del 2022 e di un’altra del deputato leghista Jacopo Morrone, iniziava il suo percorso. Costellato di incertezze, lungaggini, attacchi e violazioni.
I primi attacchi delle organizzazioni datoriali
L’«inchiostro» era ancora fresco, nell’afosa estate dell’annualità passata, quando a metà luglio la legge finì nel mirino di alcune fra le maggiori organizzazioni datoriali: Abi (banche), Assonime (società per azioni), Ania (imprese assicuratrici), Alleanza delle cooperative e Confindustria scrissero una lettera a Palazzo Chigi e ai ministeri della Giustizia e delle Imprese e del made in Italy, chiedendo un incontro, ritenendo che «l’introduzione, in via generalizzata, di vincoli stringenti» alle remunerazioni degli occupati indipendenti sarebbe stata in grado di generare «effetti a dir poco paradossali», con spese «insostenibili» per il mondo produttivo da loro rappresentato.
Una manciata di giorni dopo uscì una circolare di Assonime, nella quale si sottolineava che, visto che nel perimetro della normativa rientrano i servizi resi in favore delle Pubbliche amministrazioni e delle loro partecipate, «l’interpretazione secondo cui la disciplina si applicherebbe a ogni rapporto contrattuale comporterebbe un significativo maggior onere a carico delle finanze pubbliche».
Secondo l’associazione, poi, «qualora vi fosse un’applicazione generalizzata delle nuove norme» a tutte le mansioni svolte «per le società di maggiori dimensioni si determinerebbe un aumento del compenso dei sindaci del tutto fuori mercato» al punto che, «secondo il calcolo di una società di grandi dimensioni quotata, con un valore di redditi lordi e di attività pari a circa 8 miliardi, l’equo compenso di ciascun sindaco ammonterebbe a circa 580.000 euro», a fronte di quello attuale medio di «circa 50.000 euro».
La richiesta di un confronto col governo da parte delle associazioni fu accolta e, alla riunione, che si sarebbe dovuta tenere nella prima metà di settembre, venne invitato anche il Consiglio nazionale dei commercialisti che, in cerca di una «soluzione equilibrata», spiegarono a ItaliaOggi il presidente e il consigliere Elbano de Nuccio e Pasquale Mazza, avevano già spedito al ministero della Giustizia una propria proposta emendativa, orientata a introdurre un «tetto» ai compensi dovuti ai collegi sindacali delle società di grandi dimensioni; a seguito, però, delle rimostranze di diversi esponenti del centrodestra, schierati a difesa della normativa, e dell’istanza del maggior agglomerato degli Ordini, ProfessionItaliane, che voleva partecipare alla riunione, il dicastero di via Arenula fece «dietrofront», sconvocando l’incontro. E, ad oggi, il «nodo» non è stato sciolto.
I bandi a zero euro della pubblica amministrazione
Sempre nella stagione estiva, un paio di mesi dopo che la legge 49 era finita nella Gazzetta ufficiale, spuntò (e fece clamore) un nuovo bando per prestazioni professionali «a zero euro» nella pubblica amministrazione: a lanciarlo il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica che cercava sì una figura «altamente qualificata», con laurea in Ingegneria chimica ed un’«esperienza maturata nel campo di almeno 7 anni». Ma non intendeva pagarla. La Fondazione Inarcassa (che rappresenta gli ingegneri e gli architetti iscritti all’Ente previdenziale delle due categorie) inviò una diffida al dicastero, dopo aver letto della «manifestazione di interesse per il conferimento di un incarico di consulenza a titolo gratuito per il progetto relativo alla «Realizzazione di analisi chimico-fisiche finalizzate alla sicurezza degli impianti di produzione/stoccaggio/trattamento idrocarburi» e per l’implementazione di nuova tecnologia sviluppata nell’ambito delle attività di ricerca con Enti, università e Corpi dello Stato della Direzione generale infrastrutture e sicurezza del dicastero. E, nell’arco di tre settimane, il bando fu revocato.
È alquanto recente, invece, l’insediamento dell’Osservatorio nazionale sull’equo compenso, previsto dall’articolo 10 della disciplina, per vigilare sulla corretta osservanza delle disposizioni: il 6 marzo il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha firmato il provvedimento che lo ha istituito. A presiederlo il suo vice capo di gabinetto Francesco Comparone, a farne parte (con altre figure di nomina ministeriale) i presidenti e alcuni consiglieri nazionali in rappresentanza di tutte le categorie ordinistiche, i vertici di Confcommercio professioni, di AssoProfessioni, del Colap, quelli delle organizzazioni dei temporary manager (Leading network) e degli artisti di concerti e spettacoli (Ariacs); l’11 aprile si è svolta la prima seduta, nella quale si è, tra l’altro, evidenziata l’esigenza di procedere all’aggiornamento dei parametri ministeriali per la determinazione degli emolumenti.
La posizione dell’Autorità anticorruzione
Nel frattempo, da qualche settimana «tiene banco» la sollecitazione del presidente dell’Anac (Autorità anticorruzione) Giuseppe Busia al Legislatore, affinché fornisca chiarimenti, giacché, ha sostenuto in una lettera spedita al governo, «la specificità normativa del Codice dei contratti pubblici (il decreto legislativo 36/2023, ndr) prevarrebbe, rispetto alla legge 49».
Una posizione, questa, respinta dal Consiglio nazionale degli ingegneri, forte di due pronunciamenti del Tar del Veneto e del Lazio: a giudizio del presidente Angelo Domenico Perrini, infatti, si tratta di una «violazione palese della legge» sulla giusta remunerazione degli autonomi che non può contemplare «ribassi arbitrari». Inoltre, ha osservato, questo clima di incertezza attorno all’equità della corresponsione degli emolumenti sta creando (anche) un «terribile rallentamento nella realizzazione delle opere pubbliche».
Tra l’altro, proprio all’Anac si rifanno le stazioni appaltanti che disapplicano la normativa sull’equo compenso. Dalle elaborazioni dell’Osservatorio Bandi del Cni, nel periodo che va dal 1° luglio 2023 al 13 maggio 2024, su 1954 bandi di gara in 499 casi sono state rilevate delle anomalie. La principale difformità riscontrata e contestata è la mancata o erronea applicazione del principio dell’equo compenso. E la maggioranza degli enti che sostengono la disapplicazione della legge sull’equo compenso si appella proprio ai pronunciamenti e ai provvedimenti dell’Autorità nazionale anticorruzione.
Simona D’Alessio, ItaliaOggi Sette