(di Valentina Boddi) «Certo che ci vuole del coraggio, tu stai lì, sul marciapiede, che non puoi neanche oltrepassare la linea gialla e nonostante tutto trovi la forza di buttarti di sotto, e non è facile, perché non è che c’è qualcuno che sta lì e ti batte le mani e ti grida buttati dài buttati, no, tu sei lì, da solo, e devi trovare la forza di buttarti e di finire spiaccicato sui binari, e ci vuole del coraggio, e non è che tutti i giorni passa il treno, no, io ci tengo che si sappia che non è per questo fatto della fama o fare i soldi, ma è una cosa più di farla tu per primo la tua vita, e di non stare lì a guardarla sul divano. Io mi sento che stavolta è quella buona. Io l’impegno nella vita ce l’ho messo, da bambina, se mia madre mi diceva c’hai un problema nella testa, il risultato è che mia madre è solo una che si siede sul divano, mentre io, per un provino come questo, per un posto che all’inizio forse è solo un posticino, io mi metto lì, carina, e quando tocca a me mi alzo e dico, fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa, dov’è la vittoria, e va beh, lo so, non è che sia un granché, ma si sa che poi, una volta che sei dentro, e sei nel giro, ma dopo tutto va da solo, e poi, se mi hanno chiamata a me, col problema che ho io, forse hanno già visto come sono e che sono…»
Viviamo tempi di merda. È una merda assistere allo sterminio di civili, in gran parte bambini; alla riduzione in povertà estrema di milioni di persone; all’aumento esponenziale della temperatura del pianeta senza interrogarci sulla possibilità di costruire un «futuro vivente». È una merda sapere che ogni giorno lasciamo sparire centinaia di corpi in mezzo al mare. È una merda affogare nella coltre pesante dei precetti mediatici con la loro dittatura materiale e intellettuale di mercato – dolce e pericolosa perché difficile da riconoscere – in una società in cui ognuno prova a modellarsi davanti agli altri trasformandosi in qualcosa che non esiste. Un processo che porta alla distruzione dell’identità e della libertà, sacrificate in virtù della sottomissione a modelli sociali così presenti nella vita collettiva da sembrare passaggi inevitabili e mai scelte.
È una merda questo pulviscolo denso che entra negli occhi e annebbia i sensi, cementando una versione ufficiale della storia e del nostro presente. La verità è che sì, le donne e gli uomini sono stati soggiogati per lunghi periodi da sistemi politici ed economici spesso dispotici, sono stati omologati e confusi da ideologie che impediscono di pensare e vedere la realtà. Ma la storia umana – quella che solo la sensibilità della grande arte sa ritrarre – ci racconta di una indomita capacità di ribellione, ora silenziosa ora urlata a gran voce, in grado di tenere accesa perfino nelle stagioni più buie la fiamma ardente della vitalità e della capacità di immaginare.
Tra le fila di questa coraggiosa opposizione, ho incontrato con imperdonabile ritardo lo sguardo radicalmente critico di Silvia Gallerano e Cristian Ceresoli, poeti impegnati in un lungo viaggio alla scoperta della realtà umana più profonda, con la forza dirompente delle rotture di pensieri e paradigmi costituiti. La loro è una vicenda di rivoluzionari internazionalisti. Nel mondo, dove sono riconosciuti e amati. In Italia, dove «fanno la rivoluzione cantando»: per una società pensante, aperta, comunitaria, senza muri né discriminazioni; contro il logos occidentale, iperrazionale e androcentrico, portatore di accezioni al negativo della diversità e della soggettività; per il rovesciamento di una piramide fatta di privilegi odiosi, alimentata da un sistema miope, a tratti irreversibilmente compromesso, che ben poca attenzione presta alla cultura e alle forme d’arte impegnata.
Silvia Gallerano (attrice, regista, autrice, produttrice, cantante) è la prima italiana a vincere The Stage Award come Best Solo Performer al Fringe di Edimburgo per “La Merda”- pièce teatrale rock d’esordio di Cristian Ceresoli (scrittore, regista, produttore) premiata con il Fringe First Award for Writing Excellence – tradotta, pubblicata e messa in scena in tantissime lingue, tra cui l’inglese, il greco, il danese, il ceco, lo spagnolo, il gallego, il portoghese, il francese, il tedesco, lo svedese e il norvegese.
Un poetico e musicale, straziante e brutale flusso di coscienza sulla condizione umana concepito come una partitura in versi che, con oltre 650 repliche accompagnate ovunque nel mondo dal cartello tutto esaurito – a distanza di 12 anni dal suo debutto -, vanta un enorme successo di pubblico e di critica: la voce di una donna, sola, completamente nuda, sussurra e urla la propria vita, dal suicidio del padre alle ambizioni grottesche, attraverso i destini coincidenti della sua sciagurata esistenza e della società bruciata dall’idiozia di atteggiamenti fatui e superficiali che dissimulano un vuoto affettivo profondo. La storia di una persona fragile che lotta per diventare adulta, ma cade in un processo di degradazione, si umilia per poter essere qualcuno, ma questo qualcuno è soltanto un’idea falsata della propria identità. Non mi fa più schifo niente, dice. Ci si abitua a tutto, dice.
Ma non si sono abituati, Silvia e Cristian, all’omologazione del pensiero e alla censura oscura e subdola – fin dai tempi dei fondi negati prima dei riconoscimenti internazionali e di un vecchio teatro occupato come ultima spiaggia per andare in scena – e proseguono nella ricerca di sempre nuove forme di espressione per interpretare il mondo, coniugando la certezza dell’uguaglianza di ciascuno di noi con l’ineludibile, bellissima, diversità che ci caratterizza. Uguaglianza in quanto esseri umani a prescindere dall’appartenenza a un genere, un contesto geografico, culturale o religioso, diversità in quanto ciascuno sviluppa costantemente il proprio sé nel tempo, fisicamente e psichicamente, in modo unico e originale.
Ed è impossibile rimanere indifferenti di fronte ai loro coraggiosi progetti, mai asserviti alla rete di relazioni e interessi che avviluppa il circuito mediatico-politico della cultura contemporanea. Progetti tra cui, per questioni di spazio, ci limitiamo a segnalare: “Happy Hour”, partitura dance in cui scrittore e interprete danno vita ad un mondo distopico dove la spensieratezza è d’obbligo e regna un’efficacissima forma di allegro totalitarismo; “La Dolorosa”, concerto, spettacolo, musical che debutterà in Italia a Natale 2025 e in Sudamerica tra il 2026 e il 2027 sotto l’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo: una festa dove a ballare saranno i corpi di chi ascolta lasciandosi trascinare cantando, in coro sulle strade della Palestina, da una banda di dodici ragazzini che tra una partita di pallone e i carri armati si ribella allo squallore delle guerre; e poi “Svelarsi”, spettacolo-esperimento, serata, happening, sabba, assemblea scritto, diretto e realizzato da Silvia insieme a una equipe di sole donne per sole donne, in tour dal 2022 nei teatri di tutta Italia: un momento di condivisione su temi come il femminismo, l’umiliazione, la rivalsa, il senso di colpa, l’autodeterminazione, al quale le spettatrici prendono, se vogliono, parte. Una primavera dei corpi finalmente liberi, che insegna a non giudicarsi, a cercare la spontanea realizzazione della propria identità in tutte le sue possibilità, la progressiva separazione da quelle rappresentazioni del sé che sono la risultanza di condizionamenti esterni piuttosto che di scelte autonome, la completa fusione tra la dimensione corporea e quella psichica, la capacità di relazione con il diverso da sé.
L’impegno culturale, politico e sociale di Ceresoli e Gallerano è un antidoto al disimpegno, un rifiuto netto verso chi pensa che l’arte serva soltanto ad evadere, a non pensare. Così anche nelle classi gratuite che organizzano alla Sapienza: mentre la scrittura della loro nuova opera internazionale è in corso – un multiverse solo musical dal titolo provvisorio rebel lyrics o title not found -, condividono il loro percorso artistico e produttivo in una serie di lezioni pratiche tra la scrittura, il canto e l’interpretazione, utilizzate per «comprendere l’umano attraverso l’umano»; costruire e portare nel mondo altre scritture, canzoni, libri e spettacoli, come forma di rivolta contro ciò che ciascuno sente ingiusto e squallido. E, nello stesso cantiere, le scritture dei partecipanti vengono messe a confronto con la lettura e l’interpretazione dal vivo, così poi da modificarle, arricchirle o perfezionarle – se non addirittura scoprire che dentro a ciascuna ne esiste un’altra ancor più bella, o più ribelle, e che si può rivelare solo una volta incarnata nelle tracce che trasformano coloro che la ascoltano, nei conflitti che li costringe a sperimentare, e nelle immagini che quei conflitti creano.
Per le piccole rivoluzioni private, quanti grazie: Diletta Maria Grossi, Clara Sanna, Paola Polidoro, Michela Damiano, Serena Adornato, Frieda Brioschi, Università Telematica Internazionale UniNettuno.