Il comparto calzaturiero italiano, grazie ai risultati favorevoli della prima parte dell’anno, chiude il 2023 con il fatturato a 14,6 miliardi di euro, in debole crescita sul 2022 (+0,9%) sostenuto dall’export, che si attesta a 12,8 miliardi (+1,1% a valore). Bene il saldo commerciale (5,8 miliardi, +7,3%), ma stentano la spesa delle famiglie italiane (-1,5%) e soprattutto i volumi prodotti (che hanno annullato il recupero del 2022 tornando a 148 milioni di paia, -8,6%) e quelli esportati (-10,6%), in sensibile contrazione. Questa la fotografia del settore scattata dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici presentata in occasione di Micam, la più importante fiera del comparto in programma dal 18 al 21 febbraio 2024 a Fiera Milano Rho.
Forte preoccupazione per l’avvio 2024, previsto in ulteriore frenata almeno nel primo semestre, alla luce del difficile scenario internazionale, dominato da eventi e rischi geopolitici, e delle condizioni finanziarie restrittive per famiglie e imprese: per oltre la metà degli imprenditori la ripartenza non avverrà prima del 2025.
Per Giovanna Ceolini, nella foto, Presidente di Assocalzaturifici: “L’anno da poco concluso ha avuto per il calzaturiero italiano un andamento ondivago. Alle performance brillanti del primo trimestre, con aumenti a doppia cifra per export e fatturato, è seguito un progressivo rallentamento – in parte fisiologico, stante il raffronto con mesi 2022 non più penalizzati dalla pandemia – che ha condotto a risultati modesti nella seconda frazione e poi a flessioni nella seconda parte dell’anno. Il quarto trimestre, in particolare, si è chiuso senza stravolgimenti rispetto al trend negativo del precedente, registrando una frenata del fatturato (-5,4%), dell’export e degli acquisti sul mercato interno (-1,8% la spesa delle famiglie), peggiorando così ulteriormente l’andamento evidenziato nei primi 9 mesi. Il 2024 inoltre sta manifestando in avvio segnali preoccupanti, e prevediamo un’ulteriore frenata almeno nel primo semestre. Una congiuntura determinata dal difficile scenario internazionale, dominato da eventi e rischi geopolitici, e dalle condizioni finanziarie restrittive per famiglie e imprese”.
Nel dettaglio, in merito all’export, nei primi 10 mesi 2023 (a cui si fermano i dati ufficiali Istat sinora diffusi) tra i mercati esteri si è confermata al primo posto la Francia (+17,3% in valore e +1,1% in quantità su gennaio-ottobre 2022), le cui cifre comprendono anche i flussi di rientro delle produzioni effettuate in Italia dalle multinazionali francesi del lusso. In forte calo (-24,6% in valore e -33,3% in paia) la Svizzera, tradizionale hub logistico delle griffe, interessata verosimilmente da un cambio nelle strategie distributive delle stesse (che hanno spedito direttamente ai mercati finali una parte consistente delle merci vendute, senza transitare dai depositi elvetici). USA e Germania hanno subìto nella seconda parte dell’anno drastiche battute d’arresto (nell’ordine del -25% in volume nel quadrimestre luglio-ottobre), registrando nei primi 10 mesi flessioni del -20% circa nelle paia (e del -7,8% e -2,3% rispettivamente in valore). Rinforzati anche dai minori transiti in Svizzera, i flussi diretti dall’Italia verso il Far East sono cresciuti del +15,6% in valore e del +7,4% in quantità (con Cina +12,4% in valore, Hong Kong +16,5%, Giappone +18,7% e Sud Corea con un moderato +2,8%, l’unica negativa in volume). Quest’area si conferma quella con i prezzi medi più elevati, proprio per il ruolo determinante giocato dalle griffe. Bene anche gli Emirati Arabi (+30% in valore e +8,9% in paia). Russia (+36,8% in valore) e Ucraina (+79%) hanno sperimentato – dopo il crollo del 2022 causato dall’inizio del conflitto – un sensibile rimbalzo, pur restando tuttora sotto i livelli 2021 pre-guerra.
Per quanto riguarda i consumi interni, gli acquisti delle famiglie hanno evidenziato nei 12 mesi del 2023 una contrazione sia termini di quantità (-3%) che di spesa (-1,5%), solo in parte mitigata dal recupero nello shopping dei turisti stranieri. A livello merceologico, le scarpe da donna mostrano rispetto al 2022 i trend meno penalizzanti (-2,3% le paia e -0,9% la spesa), con segni positivi in alcune voci (calzature classiche da passeggio, mocassini, stivali e stivaletti), mentre le “sportive e sneakers”, ancorché in moderata flessione sul 2022 (-0,9% in spesa), sono le sole ad aver superato i numeri pre-pandemia.
La dinamica recessiva della domanda in termini di quantità, sia sul fronte interno che sui mercati internazionali, ha fortemente penalizzato la produzione nazionale, scesa nel 2023 a poco meno di 148 milioni di paia: ha perso quanto aveva ripreso nel 2022 ed è tornata ai volumi del 2021 (decisamente lontana dai 179 milioni realizzati nel 2019).
Prosegue infine il processo di selezione tra le imprese (con un pesante -5,3% tra industria e artigianato), malgrado la tenuta nel numero degli addetti (che segna un +1,8%, benché ancora al di sotto dei livelli 2019 pre-Covid e in calo nell’ultimo trimestre); il ricorso crescente alla cassa integrazione nella filiera (+20,6% le ore autorizzate nel 2023) preannuncia però nuove tensioni.