(di Tiziano Rapanà) La letteratura, quando è vera, è cosa ardita. Sperimenta, fugge dalle gabbie dell’ovvio e si reinventa. Altrimenti è solo libercolo, feuilleton di bassa macelleria letteraria. Tre autori si incontrano e compiono un capolavoro: rinnegano le leggi classiche del fare narrativa e in maniera realmente originale scrivono la storia del Ponte del soldino. Quello che a Roma conoscevano come Ponte de fero e che resta un vecchio ricordo della capitale che fu, tra vetturini e immagini di vita che sembrano vecchie cartoline ingiallite. Realizzato in ferro lungo il Tevere nel 1863, durante il pontificato di Pio IX, e successivamente distrutto nel 1941, il ponte deve il suo nome al pedaggio che bisognava pagare per poterlo attraversare. Il libro, pregevole novità di Palombi Editori, si divide meravigliosamente in due: la prima parte è dominata da un saggio rigoroso e ben documentato di Stefano Lucchini e Giovanna Pimpinella (C’era una volta il ponte) che propone la ricostruzione della vera storia del ponte e dei quadri con notizie anche inedite; poi c’è spazio per l’azione narrativa di Andrea Carlo Cappi (Il ponte sospeso), pencolante tra realtà e fantasia, che ripercorre cent’anni di vita nella capitale, all’ombra di qualcosa che non esiste più e di enigmatici indizi che resistono alle intemperie del tempo che scolora la storia. Le due tipologie di testi, il saggio scientifico e il giallo storico, dialogano tra loro presentandosi a vicenda uno come approfondimento dell’altro, con il lettore che può immergersi tra le fonti della storia e le suggestioni della narrativa. L’incontro tra un manager di successo (Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer di Intesa Sanpaolo, nonché Presidente dell’Associazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia), una giornalista (Pimpinella), uno scrittore affermato (Cappi, affermato autore di libri noir e protettore dell’opera omnia dell’immortale genio di Andrea G. Pinketts) ha prodotto un portento che lascerà una traccia nel contemporaneo.