Intesa Sanpaolo vara la sua manovra contro le diseguaglianze: di qui al 2027 si impegnerà in un programma da 1,5 miliardi di euro in termini di costi complessivi. L’iniziativa coincide con la questione della tassa sugli extraprofitti che, anche nel caso di Intesa, non finirà nelle casse dello Stato ma andrà, moltiplicata, a rinforzare il già soldo patrimonio della banca milano-torinese. Ricordate l’ad Carlo Messina era stato una mosca bianca tra i banchieri – quando se ne cominciava a parlare – a non criticare apertamente il balzello messo a punto dal governo di Giorgia Meloni. «Osserveremo con rispetto ogni decisione presa dal governo», disse. Ma aggiunse anche un auspicio. E cioè che i proventi fossero «utilizzati per fronte alla maggiore emergenza sociale del Paese, quella della crescita delle disuguaglianze, adottando misure per chi si trova in maggiore difficoltà». Oggi che la tassa sugli extraprofitti è sul tavolo, Messina fa la sua, di manovra, contro la povertà. Anziché pagare il conto più salato al Fisco di tutte le banche italiane, pari a 797 milioni per la singola banca e di 828 milioni per tutto il gruppo (incluse Fideuram, Intesa Sanpaolo Private Banking e l’ultima nata digitale Isybank), Intesa sfrutta l’opzione concessa nell’ultima formulazione della legge, ovvero destinare a riserve non distribuibili un importo pari a 2,5 volte l’importo delle tasse, rafforzando così il patrimonio anche laddove, come nel caso di Intesa, bisogno non ce ne sarebbe.
In tal modo la banca apposterà a a riserve 1,991 miliardi che diventano 2,069 miliardi per il gruppo, visto che l’indicazione sarà estesa a tutte le banche che ne fanno parte. Quello di apportare a riserve anziché foraggiare lo Stato è la scelta che più sarà gettonata dalle banche. Unicredit ha fatto da apripista con 1,1 miliardi, ora tocca a Ca’ de Sass. «Intesa Sanpaolo – spiega Messina – è una delle banche più solide a livello europeo: è la forza del nostro bilancio, unita alla sostenibilità» della banca «e delle sue persone nei confronti delle comunità in cui opera, a permettere la realizzazione del principale programma per il sociale promosso nel Paese da un soggetto privato». Quello che il banchiere si augurava che facesse Meloni con i soldi della tassa, di fatto se lo fa in casa, destinando a un programma «a contrasto delle diseguaglianze e a favore dell’inclusione sociale finanziaria, educativa e sociale» una dotazione da 1,5 miliardi di euro «negli anni tra il 2023 e il 2027, considerando gli importi destinati alle iniziative e quelli relativi ai costi delle strutture a supporto delle iniziative stesse». Circa 500 milioni infatti saranno impegnati per i costi correlati alla macchina dotata di circa mille persone impegnate a supportare le iniziative a cui, identificate volta per volta, saranno destinati importi per un totale di un miliardo. «Nell’ultimo decennio – ricorda il banchiere di Ca’ de Sass – abbiamo articolato in maniera sempre più ampia il nostro programma a favore dell’inclusione finanziaria, educativa e sociale. In particolare tra il 2018 e il 2022 il programma ha raggiunto una dimensione pari a un miliardo di euro». Il nuovo programma illustrato ieri da Messina nello stesso consiglio che ha deliberato di proporre all’assemblea la destinazione dei quasi 2 miliardi a riserve, sarà presentato oggi a Brescia, in un convegno dove, oltre ai vertici della banca – incluso il presidente emerito Giovanni Bazoli – interverranno anche esponenti della società civile e del terzo settore. Perché Brescia? Perché lì, spiega Messina, «troverà sede la nostra nuova unità organizzativa “Intesa Sanpaolo per il Sociale”».
Francesco Spini, La Stampa