«L’economia italiana? Rispetto alla pandemia e poi alla crisi energetica ha dimostrato una capacità di reazione sulla quale in pochi avrebbero puntato. E ora non vedo per l’Italia un serio rischio recessione. Dovremmo avere maggiore consapevolezza degli elementi di forza del nostro Paese e ambire alla leadership nella partita europea. Le do un numero: in questi anni in Italia gli investimenti in macchinari e tecnologie sono cresciuti del 25%, mentre i tedeschi investivano dieci volte di meno, solo il 2,5%. Continuiamo su questa strada virtuosa, dandoci come termine di paragone con il quale confrontarci chi si trova al vertice: la Germania. Questo sarebbe un approccio vincente se vogliamo giocare da leader in Europa. La stabilità può consentire di raggiungere importanti risultati. E con questo Governo mi sembra ci siano le condizioni. A patto, però, che non si lasci indietro nessuno. Che si tenga presente quante persone oggi in Italia facciano fatica a condurre una vita dignitosa. Considerando che un Paese è fatto di istituzioni, imprese, ma anche di famiglie, di persone».
Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, ha appena incontrato gli analisti per i risultati. Nei primi sei mesi la crescita dei ricavi da interessi ha reso possibile l’aumento dell’utile netto a 4,2 miliardi, in crescita del’80%. I dividendi maturati sono pari a 3 miliardi. Ma soprattutto ha voluto che partecipassero i manager della prima linea impegnati nei progetti di evoluzione tecnologica del gruppo. Una trasformazione che trattandosi del primo istituto in Europa viene osservata attentamente da competitor e Paesi.
«Il nostro settore sta attraversando profondi cambiamenti. Osservando Amazon, Apple, ci siamo chiesti: in quanto tempo entreranno in forze nel nostro mercato? Così due anni fa assieme al Consiglio, alla prima linea, abbiamo deciso: dovevamo far diventare Intesa Sanpaolo una Fintech. Abbiamo quindi investito 1,8 miliardi nella nuova piattaforma tecnologica nativa cloud isytech. Nel giro di un anno abbiamo lanciato isybank, la nostra banca interamente digitale, all’avanguardia tecnologica. E da poco Fideuram Direct, la piattaforma di Wealth Management digitale. Avendo una bussola precisa, una condizione: tenere a bordo tutte le nostre persone. Affiancare tecnologie e capitale umano. Per isybank abbiamo costruito un’architettura sofisticata, in grado di gestire fino a 5 milioni di clienti, una delle più grandi banche in Italia dopo Intesa Sanpaolo. Grazie a questa infrastruttura tecnologica possiamo guardare ad altri mercati. Un tempo per entrare in un paese si facevano acquisizioni. E ancora oggi, se vuoi sederti ai tavoli che contano in quel paese, devi farlo. Noi puntiamo a fare industria, in maniera innovativa, ciò non richiede acquisizioni ma capacità di spingersi in nuovi mercati».
Ma non è da presuntuosi pensare di reggere alla concorrenza di Apple, Amazon?
«No, se hai la giusta strategia. Guardare con umiltà ai migliori per prenderne il meglio. Abbiamo studiato Jp Morgan. Abbiamo scelto come partner i migliori del fintech, Thought Machine, un campione a livello globale in questo settore. Google ha messo a disposizione la tecnologia cloud a tutto il sistema Intesa Sanpaolo».
Questi i piani ma la realtà?
«Questa è la realtà. Abbiamo sorpreso sia Thought Machine che Google: in 12 mesi abbiamo creato una banca digitale. Una piattaforma di nostra proprietà che ci consentirà di essere più veloci, flessibili».
Lo dicono tutti…
«Ma noi abbiamo deciso di farlo con le persone. Abbiamo assunto migliaia di giovani ed esperti. Abbiamo portato in banca nuove competenze. Avendo come punto fermo quello di non lasciare a casa nessuno dei nostri 100 mila dipendenti. Ma andando avanti veloci».
Avete appena iniziato.
«Certo, servirà un arco di 2 o 3 anni, ma vedo gli investitori di lungo termine sempre più attenti non solo ai risultati ma anche ai percorsi di cambiamento, alla visione industriale. Guardano a quello che potremmo chiamare un dividendo tecnologico. Con il cloud ridurremo i costi immobiliari, i costi del mainframe, i grandi calcolatori di cui le banche hanno avuto bisogno fin qui. Tecnologia e risultati, che negli ultimi dieci anni sono stati solidi».
Ma dovrete dare soddisfazione ai soci.
«Il primo semestre di quest’anno è il migliore di sempre. Tutte le divisioni, dalla Banca dei Territori alla CIB, da Fideuram alle Banche Estere, dalle assicurazioni a Eurizon, hanno raggiunto risultati eccezionali. Nel 2023 distribuiremo un miliardo di euro alle Fondazioni e un miliardo agli azionisti retail. Che sono famiglie. Questo è il momento di dare. Anche alle persone che lavorano in banca. Le aziende come noi, e in Italia ce ne sono tante che stanno andando bene, devono dare alle loro persone».
Anche qui facile a dirsi… meno a farsi.
«Me ne sono accorto quando ho fatto la mia proposta di aumento retributivo per il nuovo contratto…» E allora sono solo parole? «Noi daremo alle nostre persone quello che ci chiedono. Molte famiglie stanno soffrendo il carovita, bisogna aumentare i salari, è doveroso. Avendo iniziato come impiegato di prima fascia so che cosa significa. Così come è doveroso dare un lavoro dignitoso alle persone».
Lei le sente le imprese, sa che non è facile in un mondo così competitivo stare al passo…
«Certo. Ma so anche che senza le persone non si va da nessuna parte. La vera forza delle aziende sono le persone che ci lavorano».
E per chi non lavora in Intesa Sanpaolo?
«Nei primi sei mesi dell’anno versiamo tasse allo Stato per 2,6 miliardi. Garantiamo alle fondazioni risorse per i loro progetti, e portiamo avanti un ampio programma contro le disuguaglianze nel Paese e favorendo l’inclusione, per non lasciare indietro nessuno. Destiniamo 60 milioni di interventi a chi è in maggior difficoltà, e poi i finanziamenti ai giovani, il social housing. E questo lo facciamo perché siamo la più grande azienda del Paese. E dobbiamo contribuire alla crescita».
Anche perché qui si rischia la recessione…
«Non vedo un rischio recessione. Nel periodo 2022-2023 l’Italia è cresciuta del 5%, mentre la Germania si è fermata all’1,6% e la Francia viaggia intorno al 3%. Sa perché?»
Lo dica lei.
«Perché abbiamo investito. Perché il sistema ha investito. Dal 2016 in poi gli investimenti sono cresciuti del 21%, mentre la Germania solo del 7,5%. E ora i risultati si vedono».
Ma le banche stanno erogando meno prestiti alle imprese.
«Anche qui, bisogna conoscere i numeri. Se le imprese hanno 400 miliardi di liquidità sui conti, perché devono prendere prestiti che adesso, con il rialzo dei tassi, sono più costosi? Utilizzano la liquidità che già hanno. Attenzione a non creare sul rischio recessione un dibattito surreale come sul Pnrr».
Cosa ha di surreale il Pnrr?
«Il Pnrr nulla. È il dibattito che è surreale. Noi dobbiamo investire. Poi che lo si faccia con il Pnrr o con altre modalità poco importa. Certo, ci sono le risorse europee, ma non possono nemmeno diventare una griglia soffocante. Il Pnrr deve rientrare in un piano che coinvolga anche i privati. Più che discutere in termini di principio di Mes o di Pnrr, bisogna essere capaci di gestire le risorse, destinandole alle esigenze più importanti che abbiamo».
Perché il governo non è capace di spendere?
«La capacità di effettuare grandi piani di investimento è un punto essenziale. Non può riguardare il solo Governo. Si mettano a un tavolo i quattro-cinque campioni nazionali per studiare un programma di investimenti che coinvolga più attori».
Già, ma il governo…
«É stata positiva la tenuta dei conti pubblici, e la conferma della nostra collocazione internazionale. Dopo anni di instabilità abbiamo davanti una legislatura. Questo sta attirando gli investitori internazionali. Il potenziale dell’Italia è enorme, che il nostro spread sia peggiore di Spagna e Grecia è incomprensibile. Ma, se saremo capaci di proseguire negli investimenti, nella crescita, la situazione cambierà».
É molto ottimista…
«Gli elementi di fragilità del Paese, dal debito, alle disuguaglianze, alle riforme – quelle da fare sono tante – li conosciamo. La stabilità dovrebbe servire a questo. Ad affrontarli. Questo deve fare la politica. Ma ci vuole il tempo necessario. Indipendentemente da chi si trova al governo, credo che con la stabilità si possano raggiungere importanti risultati. Almeno, questo vale per la mia esperienza in banca. Se non fossi qui da 10 anni con una grande squadra di manager, non saremmo riusciti – grazie ai soci e a tutte le nostre persone – a far diventare Intesa Sanpaolo prima uno dei benchmark europei e adesso la protagonista di un salto tecnologico tra i pochi al mondo».
Nicola Saldutti, corriere.it