Affitti brevi in condominio, la convivenza non sempre è pacifica. La locazione a terzi per brevi periodi dell’unità immobiliare posta in un edificio condominiale può rappresentare per il proprietario una desiderabile fonte di entrate economiche, ma per i condomini residenti può diventare causa di fastidio per via del continuo afflusso di persone diverse, a volte con abitudini e costumi molto differenti. La questione è esplosa negli ultimi anni soprattutto nei quartieri centrali delle città a maggiore attrazione turistica, anche sulla spinta di intermediari on-line. I proprietari possono concedere in locazione a terzi per brevi periodi i propri appartamenti, ma devono confrontarsi con eventuali divieti contenuti nel regolamento di condominio, unico baluardo a difesa dei condomini residenti. Il più delle volte si tratta semplicemente di leggere cosa prevede il regolamento e, per quelli più risalenti, interpretarne il contenuto per individuare il perimetro applicativo del divieto, tenendo presente che si tratta di una eccezione alla regola. Occorre avere chiara anche la distinzione tra affitto breve e attività alberghiere, di affittacamere e di bed & breakfast.
Affitti brevi. I c.d. affitti brevi sono i contratti di locazione di immobili a uso abitativo stipulati per una durata inferiore ai 30 giorni. Questo li differenzia dalle locazioni transitorie, ovvero dai contratti con durata maggiore di 30 giorni, ma non superiore a 18 mesi, come quelle per gli studenti universitari o i lavoratori fuori sede. Al di fuori di queste ipotesi vi è spazio solo per i contratti di locazione con la formula 4+4 e per quelli a canone concordato. Con il contratto di affitto breve il proprietario concede al conduttore esclusivamente l’uso dell’appartamento e del suo contenuto (i mobili, gli elettrodomestici, la biancheria, il wi-fi, ecc.), ma non vengono forniti servizi ulteriori, come ad esempio le pulizie o la prima colazione. In questo consiste la principale differenza tra l’affitto breve e le attività di affittacamere, albergo, pensione e bed & breakfast. Si tratta di vere e proprie attività commerciali, laddove l’affitto breve rientra a tutti gli effetti nella categoria delle locazioni a uso abitativo. E si tratta di una circostanza decisiva per la corretta interpretazione di divieti contenuti nel regolamento contrattuale.
Utilizzo delle unità immobiliari e regolamento di condominio. In linea generale ogni condomino può liberamente disporre della propria unità immobiliare, purché rispetti il pari diritto degli altri comproprietari a godere delle rispettive proprietà esclusive e delle parti comuni. Particolari clausole del regolamento però possono vietare che gli appartamenti vengano destinati allo svolgimento di specifiche attività (ad esempio studio medico, centro massaggi, ecc.), perché, a torto o a ragione, ritenute pregiudizievoli per il decoro, la tranquillità o la sicurezza di coloro che vi abitano. Oppure, senza fare un elenco delle specifiche attività, tali clausole possono fare un più generico riferimento a tali beni della vita (appunto decoro, tranquillità e sicurezza) esigendone la tutela e il rispetto.
In ogni caso è possibile che nel regolamento vengano utilizzati entrambi i criteri di individuazione delle attività vietate (cioè quello della loro espressa elencazione e quello del riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare): in tal caso deve ritenersi, da un lato, che l’elenco delle attività vietate non sia tassativo e che il divieto si estenda anche a tutte le destinazioni non espressamente menzionate che siano comunque idonee a provocare i pregiudizi che si intendono evitare, dall’altro lato che tutte le attività specificamente indicate siano di per sé vietate, senza necessità di verificare in concreto l’idoneità a recare i pregiudizi suddetti.
Simili limitazioni, per essere valide, devono però essere contenute nei c.d. regolamenti contrattuali, ossia in quelli predisposti dal costruttore dell’edificio o dall’originario unico proprietario o, in alternativa, deliberati dall’assemblea con il consenso unanime di tutti i condomini e con successiva trascrizione della deliberazione nei registri immobiliari. Solo in questo caso i divieti sono vincolanti per tutti i condomini.
Al contrario, laddove non esista un regolamento originario, i condomini potrebbero pur sempre approvare un tale divieto in sede assembleare. In questi casi, tuttavia, non sarebbe sufficiente la maggioranza, per quanto qualificata, ma sarebbe comunque necessaria l’unanimità dei consensi, beninteso non soltanto dei condomini presenti in assemblea ma dell’intera compagine proprietaria dell’edificio. Un divieto del genere approvato senza l’unanimità non avrebbe quindi alcuna efficacia obbligatoria.
Visto l’impatto che tali clausole regolamentari possono avere sulla libera disponibilità della proprietà privata, i divieti dovrebbero essere chiari e di facile interpretazione. Dette clausole dovrebbero quindi essere redatte mediante l’utilizzo di espressioni che non diano luogo a incertezze applicative.
Esempio classico è proprio quello degli affitti brevi che, come detto, spesso vengono confusi con le attività di affittacamere, albergo, pensione o bed & breakfast. Fermo restando che un regolamento contrattuale potrebbe anche vietare espressamente di concedere in locazione per brevi periodi le unità immobiliari, il relativo divieto dovrebbe però essere chiaro e specifico. Gli esempi nella giurisprudenza non mancano. E il criterio che permette di fare luce su divieti spesso risalenti nel tempo è proprio quello di evidenziare le differenze tra l’affitto breve e le altre attività commerciali che possono essere svolte all’interno dell’immobile.
E così Cass. civ. 22665/2010 ha chiarito che l’attività di affittacamere richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno. In difetto della prestazione di detti servizi, pertanto, la cessione dell’immobile non può essere ricondotta nell’ambito dell’attività di affittacamere, né quindi sottratta alla disciplina della locazione a uso abitativo. Del resto, trattandosi di disposizioni che fanno eccezione alla regola, sono vietate interpretazioni di carattere estensivo dei divieti regolamentari. E, quindi, se il regolamento vieta l’esercizio dell’attività di affittacamere o di locanda o pensione, nulla impedisce al condomino di concedere in locazione una stanza ammobiliata del suo appartamento o l’intera unità immobiliare, poiché detta attività, come spiegato, non rientra nel predetto divieto.
Può poi capitare che nel regolamento vengano indicati soltanto i pregiudizi alla collettività condominiale che si intendono evitare, richiamando concetti come quelli di quiete, tranquillità, riposo e simili. Questo si verifica soprattutto con i regolamenti più datati. In questi casi è necessario procedere a un esame specifico della singola situazione al fine di valutare se l’attività svolta in concreto nell’unità immobiliare leda il diritto degli altri condòmini di godere in modo pacifico del proprio bene, rimettendosi infine alla valutazione operata dal giudice in sede di contenzioso. Ove però il regolamento vincolasse l’utilizzo dell’immobile a civile abitazione non vi sarebbe alcun problema, visto che scopo dell’affitto breve è proprio quello abitativo.
Per quanto sopra, in mancanza di un espresso divieto regolamentare, sempre che lo stesso sia espressione della volontà unanime della compagine condominiale, il proprietario che decida di concedere in locazione a terzi per brevi periodi il proprio appartamento non ha obbligo di segnalazione all’amministratore né necessita dell’autorizzazione assembleare.
Gianfranco di Rago, ItaliaOggi Sette