In Italia il cancro è una malattia sempre più guaribile o cronica. Un paziente su quattro è riuscito a superare il tumore, non necessita più di trattamenti e presenta la stessa aspettativa di vita del resto popolazione. Al tempo stesso i malati oncologici cronici ammontano a 2 milioni e si tratta di uomini e donne che non sono nella fase acuta della malattia ma non possono essere considerati guariti. Per i primi si rende assolutamente necessaria l’approvazione a breve di una legge per il diritto all’oblio oncologico. Per i secondi invece una riorganizzazione della medicina territoriale in modo che l’assistenza sanitaria sia la più vicina possibile al domicilio del paziente. E’ questo il doppio messaggio che emerge dal convegno “Quando il cancro diventa una malattia cronica” organizzato a Roma da Fondazione AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). “In Italia i malati oncologici sono in costante crescita e ammontano ad oltre 3,7 milioni di uomini e donne – sottolinea il dott. Giordano Beretta, Presidente Fondazione AIOM -. Di questi circa un milione aspetta da tempo una legge che tuteli i loro diritti fondamentali ed eviti discriminazione nella vita di tutti i giorni. In molti Paesi europei esistono già delle norme specifiche per chi è riuscito a superare definitivamente il cancro. Queste persone all’estero riescono, senza troppi problemi, ad avere un prestito bancario o a stipulare un’assicurazione sulla vita. Da noi invece nonostante diversi appelli non esiste ancora nessuna garanzia legislativa e come Fondazione AIOM, da oltre un anno, promuoviamo “Io non sono il mio tumore”. E’ la prima campagna nazionale per il diritto all’oblio oncologico. Abbiamo avviato diverse iniziative tra cui una petizione on line. Finora sono state raccolte oltre 105mila firme per sollecitare le istituzioni politiche ad approvare al più presto una legge ad hoc”. “I pazienti cronici sono invece quelli che presentano tumori che progrediscono lentamente o che alternano fasi di remissione ad altre di ripresa della malattia – sottolinea il dott. Giovanni Pietro Ianniello, Consigliere Comitato Centrale FNOMCeO – Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri -. Grazie alle terapie riescono a tenere sotto controllo la neoplasia con buoni risultati anche per lunghi periodi di tempo. Per esempio un carcinoma della mammella, che presenta delle metastasi ossee, può essere trattato con successo anche per più di 10 anni. Lo stesso vale per il cancro della prostata o altre neoplasie molto diffuse e non particolarmente insidiose. Sono tuttavia persone che non riusciranno mai a guarire completamente della malattia. Per questo necessitano di un’assistenza più prolungata rispetto al recente passato, quando le prospettive di vita erano inferiori così come i tassi di sopravvivenza”. “In Italia stenta a decollare un vero sistema di cure territoriali per i pazienti oncologici cronici – prosegue Pierfranco Conte, Presidente di Fondazione Periplo e Professore di Oncologia Medica all’Università di Padova -. Più in generale l’assistenza, spesso deficitaria, offerta dal territorio rientra nel più amplio problema della mancata attivazione operativa delle Reti Oncologiche Regionali. Anche il coinvolgimento del medico di medicina territoriale risulta molto limitato. Il nostro obiettivo deve essere limitare il più possibile gli accessi ospedalieri dei malati che potrebbero invece recarsi ai distretti sanitari dell’ASL per ricevere trattamenti orali continuativi e talora anche terapie parenterali. Questo rappresenterebbe un indubbio vantaggio per i pazienti non obbligati ad accedere ad ospedali talora lontani, per i reparti di oncologia medica spesso sovraccarichi di lavoro e anche per la ricerca clinica consentendo di acquisire informazioni rilevanti da pazienti spesso non inclusi in studi clinici complessi. E’ evidente però che questo deve avvenire senza compromettere la qualità dell’assistenza garantendo sul territorio competenze specialistiche oncologiche in diretta dipendenza con i reparti ospedalieri di oncologia”. “Nelle strutture ospedaliere vanno gestiti solo i casi acuti più gravi e le terapie più impegnative – aggiunge Beretta -. Bisogna però creare un sistema alternativo che funzioni realmente anche a livello burocratico in quanto ancora troppi pazienti devono andare in ospedale solo per ricevere una terapia orale che poi dovranno assumere a casa”.