La scure del fisco sulle partite Iva. Per quelle c.d. “apri e chiudi”, poco collaborative, a rischio frodi o inattive, l’Agenzia delle entrate può disporne la chiusura d’ufficio. Grazie alle disposizioni del comma 148 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2023, si ampliano infatti le situazioni nelle quali l’Agenzia delle entrate può provvedere alla cessazione d’ufficio della partita Iva che presenta particolari indici di rischiosità fiscale.
Le novità contenute nella legge n.197/2022 vanno infatti ad inserirsi, ampliandone la portata, nell’articolo 35 del dpr 633/72 che detta, fra le altre, disposizioni regolamentari concernenti le dichiarazioni di inizio attività ai fini dell’Iva.
Già in passato il legislatore aveva previsto specifiche disposizioni che potessero consentire agli uffici dell’Agenzia delle entrate di disporre, d’ufficio, la chiusura delle partite Iva che manifestavano particolari indici di rischio o di inattività.
Il contrasto alle posizioni fiscalmente a rischio può passare anche da un provvedimento drastico con il quale il fisco chiude la partita Iva del contribuente bloccandone l’operatività fiscale.
Sulla base dell’attuale formulazione del citato articolo 35 del dpr 633/72, la richiesta di attribuzione del numero di partita Iva viene ad essere sottoposta ad una particolare attività di controllo preventivo da parte dell’Agenzia delle entrate che può dar luogo alla necessità di approfondimenti, accessi sul luogo di esercizio dell’attività o, come già anticipato, anche ad un provvedimento di revoca d’ufficio della posizione Iva.
Le disposizioni della legge di bilancio 2023 si aggiungono a quanto già previsto nel comma 15-bis del suddetto articolo 35 del dpr 633/72 ed in particolare a quanto già disposto dai provvedimenti direttoriali del 12 giugno 2017 (n. prot. 110418) e del 3 dicembre 2019 (n.prot.1415522).
Nel primo dei due provvedimenti sono state in particolare definite, in conformità ai criteri stabiliti dall’art. 23 del Regolamento (UE) n. 904/2010, le modalità di cessazione della partita Iva e di esclusione della stessa dalla banca dati dei soggetti che effettuano operazioni intracomunitarie in frode all’Iva.
Con il secondo provvedimento invece il direttore dell’Agenzia delle entrate, sempre in riferimento alle disposizioni del comma 15-bis dell’articolo 35 del dpr 633/1972, ha individuato i criteri e le modalità di chiusura delle partite Iva inattive, per tali intendendosi quelle che risultano, sulla base dei dati e degli elementi in possesso dell’amministrazione finanziaria, non aver esercitato, nelle tre annualità precedenti, attività di impresa ovvero attività artistiche o professionali.
L’intervento operato dal comma 148 dell’articolo 1 della legge n.197/2022 (legge di bilancio 2023), aggiunge dunque ulteriori fattispecie in presenza delle quali il fisco può intervenire, in via preventiva, bloccando l’apertura di posizioni Iva ritenute a particolare rischio, introducendo al citato comma 15-bis gli ulteriori commi 15-bis.1 e 15-bis.2.
Nello specifico la legge di bilancio 2023 interviene per arginare o quanto meno contenere, il fenomeno delle cosiddette partite Iva “apri e chiudi”.
Viene infatti stabilito che in caso di cessazione d’ufficio della partita Iva ai sensi dei commi 15-bis e del nuovo 15-bis.1 dell’articolo 35 del dpr 633/72, la partita Iva può essere successivamente richiesta dal medesimo soggetto, come imprenditore individuale, lavoratore autonomo o rappresentante legale di società, associazione o ente, con o senza personalità giuridica, costituiti successivamente al provvedimento di cessazione della partita Iva, solo previo rilascio di polizza fideiussoria o fideiussione bancaria per la durata di tre anni dalla data del rilascio e per un importo non inferiore a 50.000 euro.
Lo sguardo d’insieme delle disposizioni che il fisco può ora utilizzare per bloccare una partita Iva è dunque ampio e variegato. Molto dipende, ancora una volta, dalla puntualità e dall’efficacia delle analisi di rischio che l’amministrazione finanziaria effettuerà sui contribuenti.
Scorrendo i provvedimenti sopra citati gli indicatori di rischio, sulla base dei quali possono scattare controlli mirati e perfino chiusure d’ufficio delle partite Iva, sono sostanzialmente riconducibili al soggetto titolare della posizione Iva (sia in proprio che come amministratore di enti e società), alla tipologia e modalità di svolgimento dell’attività, alle omissioni e/o incongruenze dallo stesso compiute nell’adempimento degli obblighi fiscali e, dulcis in fundo, dal suo coinvolgimento, diretto o indiretto, in fenomeni evasivi o fraudolenti.
Contribuenti avvisati dunque. Comportamenti poco ortodossi dal punto di vista tributario possono far scattare la scure del fisco con la conseguente chiusura d’ufficio della partita Iva.
Andrea Bongi, ItaliaOggi