Sviluppare una sedia a rotelle che si muove grazie al controllo mentale, per aiutare le persone affette da paralisi a riacquistare parte della propria capacità motoria. Questo l’obiettivo che ha guidato uno studio, pubblicato sulla rivista iScience, condotto dagli scienziati dell’Università di Padova e dell’Università del Texas ad Austin. Il team, guidato da José Millán e Luca Tonin, ha ideato una sedia a rotelle che traduce i pensieri dell’utente in comandi meccanici. Per riuscire a manovrare il dispositivo anche in ambienti naturali e disordinati, sostengono gli autori, è sufficiente sottoporsi a un periodo di allenamento, necessario a capire e adattarsi alle caratteristiche del sistema. Il gruppo di ricerca ha reclutato tre persone affette da tetraplegia, che sono state sottoposte a sessioni di formazione tre volte alla settimana per un periodo compreso tra due e cinque mesi. I partecipanti indossavano un cappuccio in grado di rilevare la loro attività cerebrale attraverso l’elettroencefalografia (EEG).I segnali elettrici potevano essere convertiti in comandi meccanici per la sedia a rotelle tramite un’interfaccia cervello-macchina. Gli utenti dovevano pensare di muovere le parti del corpo per riuscire a spostare la sedia a rotelle. Nella prima sessione di formazione, riportano gli studiosi, i volontari mostravano livelli di accuratezza simili, che variavano dal 43 al 55 per cento. Dopo il periodo di apprendimento, però, il dispositivo controllato da uno dei partecipanti mostrava una precisione superiore al 95 per cento, mentre un altro utente raggiungeva un tasso di successo nel movimento del 98 per cento. In questi due soggetti, l’EEG rilevava chiari cambiamenti nei modelli di onde cerebrali mentre imparavano a gestire il dispositivo, che sono stati osservati in misura significativamente minore nell’altro individuo. “L’utente e l’algoritmo attraversano un periodo di apprendimento – afferma Millán – che permettono a entrambi di riuscire a utilizzare la carrozzina con successo. La nostra ricerca evidenzia un potenziale percorso per una migliore traduzione clinica della tecnologia di interfaccia cervello-macchina non invasiva. Crediamo che ci sia una riorganizzazione corticale che determina l’accuratezza dei movimenti”. Alla fine del periodo di formazione, ai tre pazienti è stato chiesto di guidare le sedie a rotelle attraverso una stanza d’ospedale ingombra, aggirando ostacoli e limitazioni rappresentativi del mondo reale. Stando a quanto riportano gli autori, i due partecipanti associati al tasso di successo più elevato erano riusciti a completare l’attività senza difficoltà, mentre l’altro paziente, che è stato comunque in grado di manovrare il dispositivo, non ha completato il percorso in modo efficiente. “Sembra che per acquisire un buon controllo dell’interfaccia – commenta Millán – sia necessaria una certa riorganizzazione neuroplastica nella corteccia. Nei prossimi step, cercheremo di indagare sulle motivazioni alla base delle difficoltà sperimentate dal terzo. Speriamo di condurre un’analisi più dettagliata dei segnali cerebrali per sviluppare approcci personalizzati per le persone affette da paralisi che devono affrontare il processo di apprendimento”.