“Non lo dire a nessuno” è l’esortazione che i piccoli fanno agli amichetti quando raccontano loro un “segreto segretissimo”, ma è anche l’ordine che tanti bambini ricevono da parte di qualcuno, spesso un adulto, che ha fatto loro qualcosa che va tenuto nascosto. Questo comando è anche il titolo del nuovo romanzo di Gabriella Carmagnola, edito da Guida Editori e disponibile da novembre in tutte le librerie e piattaforme online. La bambina che riceve quel terribile ordine all’inizio della storia, cresce e diventa donna mentre la sua vita viene raccontata da Carmagnola, autrice e giornalista che conosce bene casi di cronaca assai simili a quello che racconta.
Quando la narrativa è crudamente simile alla cronaca
“Ci tengo a precisare che il romanzo è frutto della mia immaginazione e i personaggi sono inventati ma potrebbe essere una storia vera visto che l’80% delle violenze ai minori avviene in casa. E’ però un racconto nato anche dalle tante testimonianze che ho raccolto da persone che hanno subito abusi assai simili. Spesso alla fine delle presentazioni del libro che sto facendo in varie città, capita che mi si avvicini una donna e mi confessi che ciò che ho scritto è successo anche a lei”.
E una delle chiavi di lettura di questo romanzo così realistico è proprio questa: quali tracce lasciano i traumi vissuti quando eravamo bambini. Quanto pesano sulle persone che diventiamo e sul futuro?
“Questo è stato proprio lo spunto che mi ha portata a scrivere il romanzo: osservare come certi fatti che accadono siano influenzati da quello che eravamo nel passato. Noi siamo il frutto delle esperienze che ci hanno preceduto e chi scrive non può prescindere dalla concezione del tempo. E quel tempo è ciò che determina il nostro essere. Perché andando a ritroso si possono trovare storie complesse e drammatiche che influiscono sull’intera vita”.
E la vita della protagonista, Lucia, viene determinata da eventi dolorosi della sua infanzia.
“Noi possiamo avere dei ricordi confusi perché traumatici, memorie come oggetti in fondo a un magazzino. E allora come fare per capire chi siamo stati? Per andare a ritroso può servire un percorso di analisi ma io credo molto nel meccanismo proustiano della memoria involontaria. Ci sono fatti e oggetti specifici che involontariamente ci riportano a ciò che eravamo prima. In famiglia ci sono spesso affetti malati e a volte sono casi che non arrivano alle denunce o alle chiamate al Telefono azzurro. A me interessava raccontare cosa c’è al di là di ciò che non viene detto. Infatti il libro si intitola ‘Non lo dire a nessuno’ perché scava dentro le relazioni dal punto di vista soggettivo dell’io narrante analizzando tutti i palpiti e i moti del cuore di chi racconta lungo l’arco di una vita”.
Tra poco sarà il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza, la narrativa come il suo romanzo può essere un’occasione per parlare di violenza in modo alternativo?
“Però la violenza di genere la separerei da ciò che riguarda il trauma infantile. Io volevo raccontare una storia che tenesse conto della violenza che subiscono le donne non solo quando sono mogli di qualche marito ma anche da bambine. Del fatto che certi loro richiami non sono ascoltati. E poi mi interessava illuminare il percorso per il superamento del trauma, che può essere di un uomo o di una donna indifferentemente”.
Il libro risuona anche come un atto di accusa contro l’omertà che circonda i crimini contro l’infanzia.
“È un’altra delle possibili chiavi di lettura: il contesto familiare molto spesso è un humus che favorisce gli eventi, soprattutto se ci sono genitori disattenti o disinteressati. Un’altra chiave interpretativa alla quale tengo è il percorso di vita, ma anche spirituale, che la protagonista Lucia fa nel suo diventare adulta: un cammino travagliato, fatto di sbagli dettati dalla rabbia che si porta dentro e poi… Ma non vogliamo mica svelare tutto. Vero?”
Claudia Mura, milleunadonna.it