Voci di costo lievitate e vendite in flessione, crollo della redditività, ansia da recessione. Per il vino italiano, reduce da anni di crescita importante sui mercati mondiali, il grande freddo è già arrivato, e si farà sentire per tutto il 2023. Lo dice l’indagine congiunturale dell’Osservatorio Uiv/Vinitaly, presentata al wine2wine di Veronafiere, il surplus di costi registrato quest’anno dalle imprese italiane (1,5 miliardi, l’83% in più, derivanti dai soli aumenti dei prezzi energetici e delle materie prime secche, come tappi, vetro e carta) complicherà i bilanci 2022 delle imprese. A partire dal Margine operativo lordo, previsto quest’anno al 10%, in discesa rispetto al 25% del 2021 e peggiore anche dell’annus horribilis 2020, quando l’indicatore di redditività riscontrato era al 17%. Ma la vera doccia fredda sarà nel 2023: in uno scenario recessivo il Mol andrà in caduta libera (4%), con un fatturato, a -16%, che in molti casi non riuscirà a coprire costi in decremento (-11%) ma comunque relativamente alti. In termini monetari, la riduzione del Mol attesa per l’anno prossimo è di circa 900 milioni di euro, attestandosi così a 530 milioni di euro contro il miliardo e 400 milioni del 2022 e i 3,4 miliardi del 2021.
Relativamente al mercato, l’Osservatorio di Unione italiana vini e Vinitaly prevede per il 2022 una chiusura d’anno con vendite generali in calo dell’1% a volume (41,4 milioni di ettolitri), per un valore in aumento, grazie all’horeca e alla vendita diretta, del 6%, a 14,3 miliardi. Molto meglio l’estero sulla dinamica valoriale (+10% contro +1% del mercato italiano), mentre i volumi sono attesi stabili in Italia e in leggera contrazione sui mercati internazionali, in particolare Usa, Germania, ma anche Cina e ovviamente Russia. Il dato del valore, rileva l’analisi, non deve però trarre in inganno: l’incremento, del tutto inflattivo, del 7% sul prezzo medio non basta a coprire i costi, come dimostrato dalle richieste delle imprese alla distribuzione di aumentare i listini mediamente del 12%.