Usa, super ricchi sotto scacco. La Casa Bianca ci riprova. Lo scorso 28 Marzo, l’amministrazione Biden ha presentato il progetto di bilancio per l’anno fiscale 2023, che avrà inizio ad ottobre 2022. Il progetto, da 6 triliardi di dollari, prevede numerose modifiche all’attuale sistema fiscale. Tra le più rilevanti l’introduzione di una minimum tax del 20% per i miliardari americani. L’imposta, ribattezzata «Billionare income tax», colpirà soltanto lo 0,01% degli americani, con un patrimonio superiore a 100 milioni di dollari. Questa nuova tassazione, secondo quanto indicato dall’amministrazione Biden, colpirà l’intero reddito dei super ricchi, comprese anche le plusvalenze non realizzate.
Negli ultimi anni è accaduto che i grandi investitori americani in possesso di ingenti assets finanziari, azioni, e non, beni immobili, abbiano accumulato ingenti plusvalenze. Tuttavia, tali redditi possono essere tassati soltanto al momento della loro vendita. Nella pratica si è assistito che gli stessi abbiano deciso di differire tale vendita e, nelle more, ottenere prestiti (non tassati) dagli istituti di credito a fronte della garanzia rappresentata dal loro patrimonio. Così facendo si sono sottratti ad una tassazione potenziale con un grave danno per l’erario statunitense. Basti pensare che secondo uno studio della Casa Bianca, dello scorso anno, i miliardari americani pagano un’aliquota media dell’8,2% di gran lunga inferiore a quella versata dalla classe media.
La Billionaire tax elimina, nelle intenzioni dell’amministrazione democratica, questo meccanismo e la sperequazione che esso genera. Invero, l’imposta tasserebbe le plusvalenze latenti su base annuale, indipendentemente dal fatto che tali assets siano venduti, ciò garantirebbe, in dieci anni, oltre 1.3 trilioni di dollari che andrebbero a ridurre il debito pubblico. Il progetto di bilancio prevede, inoltre, il ripristino dell’aliquota massima, del 39.6%, per le persone fisiche che la precedente amministrazione repubblicana aveva ridotto all’attuale 37% e l’aumento dell’aliquota per le società che passerebbe dal 21% al 28%.
Altre importanti modifiche riguardano l’eliminazione di contributi e sgravi a favore delle società energetiche statunitensi e l’adozione di nuove norme volte a contrastare i fenomeni di erosione della base imponibile e spostamento artificiale dei profitti. Lo scopo è allineare il sistema fiscale internazionale statunitense al Pillar II dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Il provvedimento, per ottenere la luce verde, dovrà ottenere l’approvazione del Congresso americano, dove il partito democratico, ha una maggioranza risicata. Si tratterà di una battaglia molto difficile, basti pensare che l’idea di una tassa sui super-ricchi non è affatto nuova, atteso che un prima proposta venne avanzata, 10 anni fa, dall’amministrazione Obama. L’allora Buffett Rule, dal nome del famoso finanziere Warren Buffett, che dichiarò che il sistema vigente gli permetteva di pagare meno tasse della sua segretaria, naufragò miseramente. L’attuale amministrazione, già ad ottobre scorso, aveva tentato di far approvare un’imposta similare, per finanziare l’ambizioso piano «build back better». Ma la proposta è stata fortemente contestata, anche in seno al partito democratico.
Francesco Rizzo Marullo, ItaliaOggi