(di Mauro della Porta Raffo) Fine anni Novanta.
Autunno.
Una di quelle serate da tregenda.
Lampi, tuoni, vento, pioggia scrosciante e, all’improvviso, una lama di luce che, di sbieco, si fa largo tra i nuvoloni: il Maggiore mi appare, se possibile, ancora più bello.
Chissà perché, sono a Laveno e, godendomi appieno lo schiaffo in faccia delle raffiche gelate e umide, in piedi, guardo le acque agitate da sotto la tenda collocata all’esterno di uno dei tanti caffè che aprono i loro battenti sul lungolago.
Un traghetto (e mi immagino quanto difficile per i viaggiatori debba essere stata la traversata) si sta avvicinando faticosamente al pontile d’attracco…
Nel quasi buio (la luce dà incredibilmente sul viola scuro), mi accorgo che una decina di metri più avanti, seduto a un tavolino, solo e con l’eterna sigaretta in bocca, malinconico, come del resto ho sempre immaginato che sia, c’è Gigi Riva.
Immobile, anche lui si gode la furia degli elementi.
Freno l’impulso di avvicinarmi e di quando in quando l’osservo di sottecchi.
Verso ovest, per quanto il tramonto incomba, la luce del sole sembra costringere le nuvole ancora piene di pioggia a ritirarsi.
Ancora dieci minuti e sarà possibile andare alla macchina e mettersi in viaggio per Varese.
Questo, a ben vedere, il mio unico incontro ravvicinato con Gigi Riva, il migliore calciatore di sempre all’attacco, in grado di compiere gesti atletici assoluti e inimitabile per la capacità che aveva, in specie se schierato in nazionale, di fare gol ogni qual volta il pubblico, in piedi ad applaudirlo entusiasticamente ‘sentendo’ che qualcosa di bello stava per accadere, glielo chiedeva a gran voce.
‘Rombo di tuono’ – come giustamente lo aveva nomato Gianni Brera – pur nato in pieno Varesotto, non ebbe mai a giocare tra i biancorossi del capoluogo essendo stato scartato ad un provino da insipienti esaminatori (leggenda vuole che uno tra questi, dopo averlo visto all’opera, abbia detto “Non va bene: ha solo il sinistro”!).
Approdato dopo Legnano (dove già aveva fatto vedere di quale pasta fosse) al Cagliari, si ‘vendicò’ segnando al povero Varese caterve di gol, in particolare al Franco Ossola di Masnago.
Frequentatore all’epoca degli stadi, mi occorse di seguirlo in molteplici occasioni e di verificarne una particolarità: da noi, invariabilmente, insaccava i suoi tremendi sinistri o le sue forti zuccate nella porta che dà verso il Sacro Monte trascurando quasi sempre quella opposta.
Accadde infine che, oramai prossimo a chiudere la sua carriera e purtroppo menomato dai gravissimi incidenti alle gambe che aveva dovuto sopportare in maglia azzurra, Riva, ovviamente con il Cagliari, approdasse ancora una volta a Masnago.
Le due squadre, trascorsi i felici anni di gloria, militavano poco decorosamente in serie B.
In tribuna, prima del fischio d’inizio e avendo constatato che solo nel secondo tempo gli isolani avrebbero attaccato appunto verso la porta incriminata, dissi ai vicini di sedia che speravo che il Varese, in quella prima parte di gara, segnasse almeno due gol perché, di certo, nei quarantacinque minuti successivi, Gigi almeno uno lo avrebbe messo a segno.
Ahinoi! Il primo tempo finì invece zero a zero e verso il quindicesimo della ripresa il vecchio ‘Rombo di tuono’, leggermente sulla destra, palla al piede, si avvicinò all’area di rigore biancorossa.
Tutti, portiere compreso, aspettandosi che entrasse nei sedici metri e si portasse la sfera sul mitico sinistro, si apprestavano a contrastarlo nel modo più acconcio.
Ma non si è grandi se non si è capaci di stupire ed è con il destro e dal limite che Riva segnò indirizzando il tiro esattamente nell’angolino.
Unico tra i varesini (spiace ricordarlo), mi alzai in piedi ed applaudii a lungo.
La porta verso il Sacro Monte era stata ancora una volta violata da quel vero’ figlio del cielo’!
Sportivamente parlando, raramente sono stato altrettanto felice!