L’economia cinese sta subendo una battuta d’arresto: la produzione industriale non aumenta, la causa è la crescita delle materie prime e la loro scarsità. Inoltre, i nuovi focolai di Covid ostacolano ulteriormente la ripresa del Paese, in corso ormai da aprile 2020.
Le conseguenze sono evidenti a Pechino, per il cui prodotto interno lordo Goldman Sachs ha appena abbassato le stime sul 2021 da +8,6 a +8,3%, tagliando nettamente quelle del trimestre in corso ma alzando quelle degli ultimi tre mesi dell’anno, ma anche su asset globali come il petrolio, sotto pressione da giorni perché la diffusione della variante Delta in Cina ha creato tensioni sui mercati globali dell’energia, dato che la nazione considerata la seconda consumatrice mondiale di greggio.
Cresce l’inflazione
Sul fronte dell’economia del Paese l’ultimo dato a preoccupare riguarda l’aumento dei prezzi della produzione, balzati a luglio del 9%, il rialzo più alto da 13 anni. Al tempo stesso il tasso di inflazione tendenziale è sceso all’1% a luglio dall’1,1% del mese precedente, restando tuttavia nettamente superiore al consenso.
A fronte di prospettive peggiori delle attese per l’economia, però, i listini cinesi sono cresciuti, riprendendosi parte del terreno perso in una serie di sedute difficili.
Per quanto riguarda la borsa, l’indice Composite di Shanghai lunedì ha chiuso in rialzo dell’1,05%, a 3.494 punti, mentre quello di Shenzhen ha guadagnato lo 0,81%, a quota 2.462 punti. Positivo anche l’Hang Seng di Hong Kong, che ha registrato un progresso dello 0,4% a 26.283 punti.
In parziale ripresa sono anche i titoli tecnologici, bersagliati dalle vendite negli ultimi mesi con la stretta del governo di Pechino sul settore, la quale è costata 87 miliardi di dollari ai magnati dietro i gruppi hi-tech.
Si conclude quindi che le restrizioni imposte dal Paese a fronte dei nuovi contagi da Covid, a partire da quelle alla mobilità, hanno fatto gioco ai titoli tecnologici, ma hanno penalizzato il petrolio, che dopo la settimana scorsa, la peggiore da ottobre, lunedì ha iniziato le contrattazioni della nuova ottava in netto calo, arrivando a perdere oltre il 4%, con il Brent sotto i 68 dollari per barile.
A pesare sull’andamento del greggio interviene anche il rafforzamento del dollaro, scatenato dai dati sul lavoro statunitensi, diffusi venerdì, che indicano un’economia Usa in salute e che avvicinano il tapering della Fed.