Esportare il Made in Italy vale 135 miliardi. È quanto emerge dal Rapporto «Esportare la Dolce Vita», realizzato dal Centro studi Confindustria, in collaborazione con Unicredit e con il contributo di Sace, Netcomm e Fondazione Manlio Masi.
La facilità di riconoscere l’italianità come caratteristica di un prodotto e di apprezzarla si è affermata nel tempo in tutto il mondo, e i consumatori sono riconoscono al made in Italy un valore superiore e sono disposti a pagare di più per averlo, preferendolo ai competitor.
La categoria dei beni finali di consumo belli e ben fatti (BBF) racchiude in sé tutti quei beni che rappresentano l’eccellenza italiana in termini di design, cura nei dettagli, qualità dei materiali e delle lavorazioni. Si tratta di prodotti di elevata qualità che si distribuiscono in tutti i comparti produttivi, ma che trovano la loro massima espressione nelle produzioni maggiormente legate al gusto e alla creatività.
Il BBF rappresenta una parte consistente delle esportazioni complessive dell’Italia ed è trasversale a tutti i principali comparti dal made in Italy, seppure in maniera più marcata nei settori afferenti alle “3F” di Fashion, Food e Furniture. Le eccellenze italiane si dirigono prevalentemente verso i mercati avanzati, che insieme ne assorbono circa 114 miliardi di euro. Ammonta invece a oltre 20 miliardi di euro il quantitativo di eccellenze esportato verso i paesi emergenti che, per il loro dinamismo (sia sul piano demografico che su quello economico), e nonostante il loro peso ancora limitato, offrono margini di crescita relativamente maggiori, a fronte comunque di rischi più elevati.
L’analisi contenuta nel Rapporto consente di ottenere una misura del potenziale di mercato dell’Italia nell’ambito del BBF, rispetto alla quale valutare il margine di miglioramento delle posizioni fin qui acquisite. Il potenziale è calcolato valutando il possibile ampliamento delle attuali quote di mercato rispetto a quelle dei concorrenti che, per struttura dei costi di produzione e qualità dei prodotti esportati, hanno caratteristiche simili a quelle dell’Italia. Il potenziale si ripartisce per oltre tre quarti nei paesi avanzati (62 miliardi di euro) e per la restante parte negli emergenti (20 miliardi di euro).