«Far crescere i marchi del lusso anche in tempi di pandemia è possibile, a patto che si investa su un posizionamento corretto e in termini di brand purpose, legandosi ai valori dell’area social e dell’ambiente», spiega Valentina Miradoli, client partner luxury, retail & durables di Kantar.
La società di analisi che fa capo a Bain Capital, nota per la ricerca BrandZ, ha presentato ieri la classifica Most Valuable Italian Brands, focalizzata sul valore e il purpose. Inoltre ha individuato in un nuovo studio con Class Editori le caratteristiche indispensabili del «Luxury shopper journey», dai punti di contatto online e fisici al packaging, per raccontare meglio il Dna della marca.
Benché la maggioranza dei clienti compri lusso nei negozi (l’online si attesta al 24%), così dice la ricerca, è sul web che inizia il viaggio verso la griffe e qui entra in scena lo storytelling.
«Oggi l’approccio verso il consumatore non si limita a una proposta di prodotto o economica, ma riguarda un aspetto culturale», afferma Angelo Sajeva, consigliere delegato di Class Editori, «nei contenuti dei brand si cerca rassicurazione e l’editoria gioco un ruolo fondamentale: è infatti importante che chi racconta sia accreditato a farlo contribuendo a un’esperienza positiva».
Se la pandemia ha poi prodotto divisioni sociali e fatto crescere movimenti per riportare eguaglianza ed equità nella scala valoriale, «a risultare più autentiche e di successo sono state le marche capaci di interpretare i cambiamenti, dai nazionalismi, all’ambiente alla giustizia», sottolinea Shiva Mohammadian, brand associate director Kantar. «Queste iniziative consentono di dimostrare che il brand si sta prendendo carico di alcuni valori importanti e agisce per migliorare il mondo in cui viviamo».
Non a caso le griffe che hanno preso una posizione sono state anche le più accreditati dalle giovani generazioni, attentissime al cambiamento culturale. Tra chi ha capitalizzato meglio su questa direzione spicca Gucci, primo nella classifica BrandZ Most Valuable Italian Brands: precede Prada e Fendi. Seguono Bottega Veneta, Armani, Bvlgari e Salvatore Ferragamo, mentre chiudono la classifica Valentino, Versace e Dolce & Gabbana. «Mantenendo il posizionamento lusso, Gucci ha saputo capitalizzare la sua storia interpretando istanze forti in tema di sostenibilità (con il manifesto Gucci Equilibrium) e di diversità. È così risultato rilevante dal punto di vista funzionale ed emozionale», aggiunge Mohammadian.
Altro caso molto differente è Armani: «Come brand ha capitalizzato ben 9 sui 17 obiettivi dell’Onu in tema di sostenibilità e ha investito su report trasparenti fin dal 2013», dicono da Kantar. Il purpose è anche un’opportunità per vincere in termini di marketing in quella che è stata ribattezzata dalla stessa Kantar «l’era of public», degli interessi sociali, che segue l’era «of product» degli anni 20 e l’«era of person» successiva.
Lo studio realizzato assieme a Class Editori identifica il negozio fisico come il canale d’acquisto preferito dai clienti del lusso: qui contano l’esperienza del prodotto (83%) e il supporto dell’assistente alla vendita (82%), elementi che oggi vivono meno nell’online, canale preferito per l’immediatezza e dove sono lasciati alla descrizione dei prodotti (88%), ai siti (83%) e ai rivenditori (82%) il racconto della marca per influenzare l’acquisto.
«Tutti i luxury brand italiani sono percepiti come fortemente di successo. Online ci sono però da colmare alcuni gap che riguardano l’esperienza su misura e la cura, le coccole al cliente insomma», aggiunge Stéphanie Leix, head of brand execution di Kantar, «servono esperienze integrate, come appuntamenti one to one sul web, ma anche il packaging potrebbe essere ripensato, penso a un vissuto arricchito di esperienza e di scoperta, mentre la consegna dovrebbe essere trasformata in chiave premium».
Francesca Sottilaro, ItaliaOggi