(di Tiziano Rapanà) Continua ad infuriare la polemica, nonostante sia adulta di qualche giorno, sulla scelta di una libraia romana del quartiere Tor Bella Monaca di non vendere il nuovo libro di Giorgia Meloni edito da Rizzoli. Alessandra Laterza, su Facebook, ha sguainato la spada dell’ironia: “So scelte, mejo pane e cipolla”. Se fossi stato il titolare di una libreria, non avrei avuto problemi a ospitare Io sono Giorgia – Le mie radici, le mie idee. Tuttavia provo simpatia per una donna che ha fatto una battaglia politica e ha pagato in prima persona: circumnavigate il web e troverete un numero importante di commenti cattivi e velenosi. Non mi spiego i motivi che hanno acceso un’assurda acrimonia verso un gesto innocuo: il libro lo si può acquistare in tantissime librerie, nei luoghi virtuali destinati agli e-commerce: perché, quindi, stimolare il vento della polemica? La libreria “Le torri” è uno spazio privato non collegato ai colossi Feltrinelli o Mondadori, pertanto Laterza non deve dare conto a nessuno. Al posto suo, avrei evitato di dare risonanza mediatica ad un gesto da nulla, non serviva. Così l’ha data vinta a chi ha visto l’atto come un’esibizione di vanità o peggio come una trovata pubblicitaria di facile presa per il lettore di sinistra. Mi è piaciuta la reazione di Enrico Letta sull’argomento. Ai microfoni di Radio 1, il segretario dem ha così commentato la querelle: “Comprerò il libro di Giorgia Meloni. Sono sincero, perché voglio e mi interessa leggerlo”. Così si fa. Non si alimenta il fuoco su una questioncina insignificante, ma si bada alla sostanza fatta dei problemi e del dolore, che occupano questi giorni adornati di tribolazione per il futuro del Paese. Auguro fortuna alla neonata creatura di carta di Giorgia Meloni, anche se non capisco perché i politici si ostinano a volere pubblicare libri. Ogni volta che li leggo mi sovviene lo sconforto.