Il numero di donne nel ruolo di amministratore delegato continua a scendere: era poco più del 3% del totale nel 2013, è meno del 2% alla fine dell’anno scorso. Il dato emerge dal Rapporto Consob sull’evoluzione della corporate governance in Italia. La presenza femminile è in leggero aumento per il ruolo di presidente, comunque sotto il 4% del totale. A fine 2020 la presenza femminile negli organi sociali degli emittenti quotati italiani raggiunge quasi il 39% degli incarichi di amministrazione e di controllo. I dati riflettono l’applicazione della legge cosiddetta sulle «quote rosa» (Legge Golfo-Mosca) aggiornata nel 2019 con libelli di quote più alti. In applicazione della nuova legge, le 76 società che hanno rinnovato il consiglio di amministrazione nel 2020 mostrano una presenza media di 4 donne pari al 42,8% del board. Aumentano invece le donne nominate dalla minoranza, soprattutto nelle società più grandi, e il numero di amministratori indipendenti, più che raddoppiato, che raggiunge circa il 75 per cento.
La scarsa contendibilità e le scatole cinesi
Un’elevata concentrazione e una limitata contendibilità del controllo continuano a connotare gli assetti proprietari delle società quotate italiane, analizza sempre la Consob. La metà delle imprese presenti in Piazza Affari sono controllate di diritto (ovvero da un azionista con una quota di capitale inferiore al 50%) e un 11% «blindate» da un patto di sindacato. Solo il 25% mostra un controllo debole delle quote del capitale. Il rapporto rispetto al 2010 registra un aumento del numero e della capitalizzazione delle società «widely held» e una riduzione della capitalizzazione delle società controllate. Appare oggi molto ridotto il controllo tramite «scatole cinesi», da diversi osservatori ritenuto un possibile rischio o comunque una mancanza di trasparenza: a fine 2019 sono infatti solo il 15,8% le società che fanno riferimento a strutture di controllo orizzontali, piramidali o miste, conto una quota del 44% nel 1998.
Il controllo familiare e la presenza dello Stato
Nei modelli di controllo continua a essere prevalente quello familiare (145 società che pesano per il 25,6% della capitalizzazione di mercato), mentre le imprese a controllo pubblico valgono il 39,7% del totale. La Consob conferma che il modello tradizionale di governance è il più adottato dalle società italiane quotate (220 su 224 a fine 2020, 92% della capitalizzazione di mercato). Solo tre imprese preferiscono il monistico, mentre il dualistico è stato gradualmente abbandonato: a fine 2020 è scelto da una sola società, mentre erano sette le società con il duale nel 2009.
Cresce il voto maggiorato
Tra le società quotate italiane cresce la diffusione del voto maggiorato. A fine 2019 le loyalty shares erano «infatti previste nello statuto di 53 emittenti (sette in più rispetto alla fine del 2018) e, tra questi ultimi, le imprese in cui gli azionisti hanno maturato la maggiorazione dei diritti di voto sono 35». Prosegue, invece, il calo del numero di società che emettono azioni di risparmio (12 a fine 2019 a fronte di 14 nell’anno precedente).
In aumento i capitali esteri e le public company
Cresce la presenza di capitali stranieri. Gli investitori istituzionali esteri sono presenti nel capitale di società la cui dimensione è più diversificata (con una frequenza più elevata tra quelle del Ftse Mib) e nelle imprese industriali, con complessivamente 75 partecipazioni rilevanti, 10 in più rispetto al 2018. Gli investitori istituzionali italiani, invece, sono con maggior frequenza azionisti rilevanti di imprese di piccole dimensioni e sembrano non privilegiare uno specifico settore di attività. Dal rapporto emergono novità anche sugli assetti proprietari: aumentano le «public company». Le società a proprietà diffusa sono 19, nota il rapporto Consob, e rappresentano circa un quarto della capitalizzazione di mercato. Nel 2010 erano undici.
Le società e la sostenibilità
A fine 2020 sono state 151 le società quotate in Piazza Affari che hanno pubblicato una Dichiarazione Consolidata non Finanziaria (Dnf) e a fine 2019 erano 76 i gruppi (35% del listino e quasi l’83% in termini di capitalizzazione di mercato) che hanno istituito un comitato di sostenibilità. In 70 casi le funzioni del comitato di sostenibilità sono abbinate con quelle di altri comitati: in 55 casi con il comitato controllo e rischi (presente nel 94% delle imprese). In generale 125 società assegnano diverse funzioni a uno stesso comitato, mentre in 100 casi le funzioni del comitato remunerazione sono abbinate a quelle del comitato nomine. La quota di imprese con la presenza di un comitato sostenibilità risulta più elevata nei settori oil & gas, nelle utilities e nelle assicurazioni.
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