(di Tiziano Rapanà) Trovo assurdo il successo di alcuni scrittori. Non faccio nomi, ma è strano vederseli lì in classifica a primeggiare, a dimostrare il loro trionfo di pubblico e critica. La loro banalità viene così premiata oltre che lodata e vista come esempio per futuri giovani scrittori che vogliono tentare di vergare opere fondamentali, degne di essere menzionate nelle antologie più prestigiosi. Alcuni di questi aspiranti maldestramente ci provano. Altri, per fortuna, danno retta al pragmatismo, guardano in faccia la vera sostanza del proprio talento e infine decidono che i quei manoscritti così pregni di ambizione restino cautamente riposti nel cassetto affinché non facciano danni in giro. Purtroppo si dà spazio al peggio e quindi alla convenzione, all’aspettativa del lettore risolta, mai una volta che si incentivi l’innovazione nello stile. Ho davanti a me un libro che merita attenzione. L’ha scritto un medico peruviano, Juan Josè Piazze, bravissimo. Continuo a toccare, a percepire la consistenza de Gli strani percorsi (del destino), così si chiama il bel libro che vi voglio consigliare. Venti racconti, venti micro mondi creativi interessantissimi, che non voglio raccontarvi. Non voglio banalizzare la sostanza creativa di una silloge che si caratterizza per la sua originalità e alterna voci classiche che guardano ad una narrativa classica e voci decisamente moderne che prendono ispirazione dal genere pulp americano, così caro a Tarantino. Trovo ingiusto che un libro così evidentemente fuori dalla sfera del già letto non abbia avuto successo. Qui abbiamo un talento fosforescente che risplende anche nel buio di un’editoria ottusa incapace di valorizzare un libro, edito nel 2011 da Albatros, che merita un destino migliore.