I negoziati sono ancora in corso ed è difficile prevederne gli esiti in questo momento, anche se la scadenza del 31 dicembre è talmente vicina che la Commissione europea ha cominciato a mettere le mani avanti, approvando quattro regolamenti, necessari per mantenere operativi, anche in caso di hard Brexit, i collegamenti aerei e stradali e permettere l’accesso alla pesca delle navi britanniche ed europee nel mare del Nord. Segno evidente che l’ipotesi no deal è al momento più che plausibile. Comunque, anche in caso di accordo trovato in extremis, i rapporti commerciali tra le parti finiranno in una specie di tritacarne. In alcuni casi non saranno più possibili o non saranno più convenienti, a causa dell’aumento dei costi e soprattutto dell’allungamento dei tempi di consegna. Pensiamo alle merci deperibili, come il latte, la mozzarella, la verdura ecc. In altri casi le parti si troveranno ad affrontare tempi di consegna imprevedibili, pratiche doganali finora sconosciute, dazi e una infinità di piccoli e grandi problemi oggi difficili anche da immaginare. La differenza tra no deal e accor- do è soprattutto nella necessità di pagare i dazi doganali o no. Ma una infinità di altre problematiche dovranno essere affrontate comunque. E bisogna tener presente che la metà delle imprese italiane che ha rapporti commerciali in Gb non ha dimestichezza con pratiche di import/export.
Le relazioni tra venditore e compratore sono comunque destinate a complicarsi, come è ben sintetizzato nell’articolo e nella tabella pubblicati in questa pagina, in funzione delle diverse tipologie contrattuali che possono legare le parti tra di loro. In sostanza si tratta di capire su chi ricadranno gli oneri connessi alle formalità di sdoganamento e i dazi. In ogni caso, inutile farsi illusioni, le imprese italiane che hanno rapporti commerciali con la Gran Bretagna dovranno mettere in conto un aumento dei costi e un allungamento dei tempi di consegna. Che potrebbero pregiudicare anche la convenienza del rapporto stesso. Stiamo parlando di oltre 100 mila operatori, con scambi per un valore complessivo intorno ai 40 miliardi di sterline l’anno. Particolarmente in difficoltà saranno i settori dell’agrifood, del fashion e dell’automotive, che registrano volumi commerciali molto elevati e saranno soggetti a dazi pesanti in caso di no deal. Ma i problemi non mancheranno per nessuno. L’importante è non farsi trovare impreparati, nel limite del possibile.
Marino Longoni, ItaliaOggi Sette