(di Tiziano Rapanà) Il genio di Sciascia conquista ancora una volta il mondo. Di recente è stata pubblicata in persiano la sua raccolta Gli zii di Sicilia. Il Tehran Times informa che il libro è stato tradotto da Sanam Qiais per la casa editrice Qoqnus. Le novelle, pubblicate nel 1958, sono come piccole gemme del tesoro intellettuale dello scrittore siciliano. Sono i primi segni dello Sciascia che conosceremo compiutamente in romanzi interessanti come Il giorno della civetta e, soprattutto, A ciascuno il suo. Sono storie dove le illusioni sull’ideologia e la storia si perdono nell’allegria, nella sofferenza e nell’innocenza abbandonata. Ogni romanzo ha il suo momento storico: la guerra civile spagnola, l’invasione alleata della Sicilia, i grandi eventi del 1948 la morte di Stalin. Storia e vita tracciano le traiettorie emozionali dei personaggi di Sciascia, che li ha disegnati con un gusto per la crudeltà. Inizialmente il libro fu pubblicato nel 1958 nei «Gettoni» di Vittorini, poi nel 1961 fu inserito il bel racconto, L’antimonio. Il libro lo potete acquistare in libreria o via e-commerce, nella splendida edizione dell’Adelphi. Penso sia offensivo, giunto a questo punto, dirvi di lui, della sua esistenza. Il suo nome riecheggia ancora nelle bocche curiose di libri, di cultura, di una voglia di vita che sfugge dalla banalità del conformismo e dalla cattiva televisione. Sciascia ha lavorato a libri che qualche cretino definirebbe di genere – gialli, thriller, romanzi storici -, ed è stato un maestro della comunicazione popolare.
Guai a fraintendere il popolare, con il dozzinale o superficiale. La sua lingua era raffinata e mai convenzionale. Sciascia intingeva la sua penna nell’inchiostro dell’impegno civile e morale. Con i suoi libri ha raccontato I problemi dell’Italia moderna. Comprate questo signor libro e abbandonatevi alla prosa dello scrittore siciliano. Vi saluto con una citazione de Gli zii di Sicilia che mi ha sempre commosso e che la stessa Adelphi vede come “un’epigrafe per tutta l’opera di Sciascia”: «E mi sentivo come un acrobata che si libra sul filo, guarda il mondo in una gioia di volo e poi lo rovescia, si rovescia, e vede sotto di sé la morte, un filo lo sospende su un vortice di teste umane e luci, il tamburo che rulla morte. Insomma, mi era venuto il furore di vedere ogni cosa dal di dentro, come se ogni persona ogni cosa ogni fatto fosse come un libro che uno apre e legge: anche il libro è una cosa, lo si può mettere su un tavolo e guardarlo soltanto, magari per tener su un tavolino zoppo lo si può usare o per sbatterlo in testa a qualcuno: ma se lo apri e leggi diventa un mondo; e perché ogni cosa non si dovrebbe aprire e leggere ed essere un mondo?».