(di Tiziano Rapanà) Tempi duri per tutti. Qui non si vivacchia nemmeno e chi esiste deve ritenersi fortunato. Molti tentano di sopravvivere, alcuni ci riescono. La pandemia accelera la corsa verso il baratro. Le Regioni stanno cominciando a chiudere le scuole. Didattica a distanza avanti tutta. C’è chi apprezza e chi disapprova. Ho deciso di fare due chiacchiere con una scrittrice, che conosce bene le meccaniche del sistema scolastico. Insegna italiano e latino nei licei. Viola Ardone ha scritto vari libri di successo, Il treno dei bambini (Einaudi) è forse il suo più bello. È una napoletana doc che ama follemente la sua città. Avrebbe preferito insegnare alla maniera classica, in classe con i suoi studenti, ma si ritrova di malavoglia a lavorare con la didattica a distanza.
La scuola si trova nel bel mezzo della tempesta. La didattica a distanza è una soluzione che a molti non piace. Lei ha espresso varie perplessità sul metodo. Cosa non le convince?
Tutto. Cioè, non è che non convince me, il fatto è che non soddisfa gli alunni, non va bene per le famiglie, non permette ai docenti di fare il loro lavoro. Naturalmente laddove la situazione lo renda inevitabile, ben venga anche la didattica a distanza. Ma non deve diventare la foglia di fico alle mancanze dell’amministrazione locale e ai tagli della politica nazionale.
La chiusura delle scuole per molti è un male necessario. Gli studenti possono portare il virus in casa e contagiare così i gentiori e i nonni. La cosa non la preoccupa?
È vero anche il contrario: il virus può essere portato a casa dai genitori o dai nonni e contagiare gli alunni. La scuola non è luogo di contagio, spesso la trasmissione della malattia altrove, ovvero fuori ai cancelli, nei mezzi pubblici, nei centri sportivi o in altri luoghi di ritrovo. Una buona idea sarebbe imporre l’uso di mascherine anche in classe. Arrivati a questo punto, comunque, è molto difficile tornare ad aprire con questi numeri. Qualcosa andava fatto prima, con l’obiettivo di evitare una nuova chiusura delle scuola.
Anche nei momenti peggiori, Napoli si conferma il centro nevralgico della creatività nel mondo. Qui, Tonino Stornaiuolo si è inventato la didattica dai balconi. Egli è andato dai bambini ai Quartieri Spagnoli, per divulgare l’arte di Gianni Rodari. Vorrei una sua riflessione in merito.
È una bella iniziativa che non incide purtroppo sulla realtà di tanti bambini che hanno difficoltà oggettive a seguire le lezioni a distanza. Una iniziativa simbolica, poetica, letteraria. Ma la scuola va fatta in classe. Si sarebbe dovuto lavorare per questo.
Da docente come vive questo disastrato momento?
Con enorme fatica e frustrazione. L’entusiasmo con cui tutti noi docenti abbiamo abbracciato la Dad nel marzo scorso ha lasciato il posto a un senso di abbandono. Era possibile evitare una seconda ondata di queste proporzioni? Dopo tutto il lavoro che è stato fatto per mettere in sicurezza le scuole, c’era modo di impedire che in contagio vi entrasse? Quale valore diamo all’istruzione nel nostro Paese? Sono domande che ogni docente si pone.
Sa indicarmi una soluzione per superare questo insostenibile impasse? Come la scuola può uscire dal terribile momento? Vorrei il suo parere da scrittrice, liberi la fantasia. Si abbandoni alla patafisica.
Bisognerebbe lasciare tutti a casa tranne gli studenti. Vorrei che le città siano popolate da bambini e ragazzi.
Alcuni sostengono che i giovani siano strafottenti verso la pandemia, che ha reso tragico l’esercizio del vivere. Questi signori hanno ragione? O è solo acrimonia verso chi è nel pieno della sua esistenza?
È uno scontro tra generazioni: i giovani vogliono vivere, ma i vecchi sono ancora più di loro attaccati alla vita. Chi deve sacrificarsi per il bene di chi? Ogni età ha le sue esigenze e non ha senso criminalizzare quelli che hanno un’età diversa dalla nostra: ciascuno ha le sue priorità. Aiuterebbe il buon senso, abbiamo capito che i pilastri della lotta alla pandemia sono tre: igiene, mascherina, distanziamento. Basterebbe già applicare questi.
Mi regali un’immagine di Napoli, che identifichi l’attuale momento di prostrazione.
È una città che vive di un equilibrio fragile, l’arte di arrangiarsi che non può reggere l’onda d’urto di una tragedia mondiale.
Se non si offende, propongo una vecchia domanda proposta a Mao Zedong: dove va l’umanità?
Verso la conservazione di sé: verso la vita.