Sono molti gli investitori che considerano i principali indici dei mercati azionari regionali delle vere e proprie rappresentazioni corrette del mercato dei capitali e dell’economia sottostante. In effetti, la maggior parte di questi indici sono ponderati in base alla capitalizzazione di mercato ed esprimono le preferenze degli investitori in qualsiasi momento (ipotizzando un mercato efficiente). Perciò, man mano che il tessuto economico cambia nel corso del tempo, anche gli indici cambiano.
Solo quest’anno il principale indice azionario blue-chip d’Europa andrà incontro a tanti cambiamenti quanti ne sono avvenuti complessivamente negli ultimi cinque anni. L’ultima volta che abbiamo avuto un riequilibrio così ampio è stato 20 anni fa. Questo mese, cinque società sono uscite dall’indice: Société Générale, Telefonica, Fresenius, BBVA Orange e cinque società le sostituiscono: Prosus, Adyen, Vonovia, Pernod Ricard e Kone.
Da molti punti di vista si tratta di un ribilanciamento positivo: la stabilità e la mancanza di innovazione sono fonte di preoccupazione e sono sintomatiche della fatica delle economie europee quando si parla di cambiamento. L’immobilismo dell’indice negli ultimi anni ne è un esempio: nessun cambiamento nella sua composizione nel 2015 e nel 2017, solo due nel 2016, tre nel 2018 e uno nel 2019. Guardando al di là del segmento delle blue-chip, l’immobilismo trova un ulteriore riscontro nell’altrettanto contenuto tasso volume di cambiamenti dell’indice STOXX Europe 600. La storia sarebbe diversa se i pesi dei settori che registrano performance più deboli e crescita più bassa all’interno dell’EURO STOXX 50 non fossero così grandi come lo sono adesso. È quindi una buona notizia che i cambiamenti recenti non riguardano l’avvicendamento di nomi che vengono sostituiti nell’ambito dello stesso settore. Ciò che registriamo quest’anno è invece che un settore poco performante, come quello delle banche e dei servizi di comunicazione, lascia il posto a settori a più alto potenziale come quello della tecnologia. Un altro modo di interpretare il cambiamento è guardarlo nell’ottica dei dividendi: il dividend yield medio dei nuovi nomi è dell’1,5% rispetto il 4,3% dei nomi in uscita dall’indice, portando in questo modo il dividend yield implicito dell’intero indice al 2,55% (dal 2,70%) per il 2022.
Nonostante questo segnale incoraggiante, anche dopo questo cambiamento il settore tecnologico europeo rimane molto sottopesato rispetto a quello statunitense. Infatti, dopo l’inclusione di Prosus all’interno dell’indice, il peso del settore tecnologico nell’EURO STOXX 50 è del 14%, contro il 28% dell’S&P 500. In altre parole, il settore tecnologico ha una ponderazione adesso simile a quella che aveva nell’S&P 500 nel 2010, 10 anni fa. I pesi dei vari settori sono spesso evidenziati tra le ragioni alla base della sottoperformance degli indici azionari europei rispetto agli omologhi statunitensi, partendo dal presupposto che il sottopeso tecnologico dell’EURO STOXX 50 sia la causa principale della sua sottoperformance.
Tuttavia, emergono anche altri spunti: guardando le performance di ogni settore nel corso degli ultimi 10 anni, riscontriamo performance inferiori rispetto a quelle degli Stati Uniti. In particolare, il differenziale maggiore, con oltre il 10% di sottoperformance annualizzate, si verifica nei Servizi di Comunicazione, mentre Financials, Consumer Discretionary, Healthcare e Utilities sottoperformano di oltre il 5% annualizzato. L’insieme di questi settori rappresenta oggi un peso del 50% all’interno dell’indice, appena inferiore al loro peso del 55% del 2010.
Sulla base di questi risultati, possiamo renderci conto che, anche se una maggiore allocazione al settore tecnologico sarebbe stata senza dubbio vantaggiosa in termini di performance storica dell’EURO STOXX 50, non sarebbe comunque stata sufficiente. Per dimostrare tutto ciò abbiamo applicato le ponderazioni di settore dell’S&P 500 alle performance di settore dell’EURO STOXX 50 negli ultimi 10 anni. In questa simulazione, la performance dell’indice sarebbe stata del +75%, inequivocabilmente un miglioramento netto rispetto alla performance effettiva del +57%. Ma il punto chiave in questo caso è che anche con i pesi del settore USA, il differenziale di performance con l’S&P 500 (113%) sarebbe stato ridotto solo di un sesto.
Se la sottoperformance non discende da ponderazioni settoriali e il settore europeo con le migliori performance segue abbastanza da vicino l’omologo statunitense, allora dobbiamo considerare l’impatto dei settori che, al contrario, registrano le performance più deboli e l’inclinazione a favore del value del mercato azionario europeo rispetto a quello a stelle e strisce. Un esempio è quello dei Servizi di Comunicazione, che dieci anni fa avevano circa lo stesso peso dell’indice in Europa e negli Stati Uniti, ma che ha seguito un percorso opposto negli ultimi cinque anni. Negli Stati Uniti, le nuove tecnologie hanno portato alla nascita di leader di mercato come Facebook e Twitter, che attirano l’interesse degli investitori principalmente per la loro crescita. In Europa, altri fattori, come la regolamentazione, hanno svolto un ruolo importante nel modellare il settore e, in fin dei conti, anche nell’influenzarne la performance. Di conseguenza, in Europa il settore ha registrato pochi cambiamenti ed è rimasto bloccato da operatori, come Telefonica e Orange, che hanno attirato soprattutto per la loro capacità di pagare un dividendo elevato.
Negli Stati Uniti, l’impatto dell’IT va ben oltre il settore stesso. I servizi di comunicazione, i consumi discrezionali e un numero crescente di altri settori negli USA sono definiti da aziende pienamente permeate dalla tecnologia e posizionate per trarne vantaggio. Queste aziende oggi guidano gli indici azionari statunitensi, rendendo gli indici stessi difficili da superare da parte dei quegli investitori che si avventurano al di fuori dei nomi più importanti (GAFAM). In questo senso, la struttura del mercato statunitense è particolarmente adatta per gli investimenti passivi. In Europa il quadro è molto diverso: i cambiamenti del tessuto economico stanno accelerando solo ora e i selezionatori attivi di azioni dovrebbero trovare più opportunità per battere il loro benchmark. Di conseguenza, gli investitori azionari europei dovrebbero evitare i cosiddetti “index tracker” passivi a favore di un processo di stock-picking attivo per poter modificare i portafogli a seconda dei cambiamenti nel panorama del contesto del Vecchio Continente.
LamiaFinanza