In ogni casinò del mondo girano le stesse maschere: il precisetti,
l’impulsivo, il «pavone», il classico pollo. Tutti in preda al demone
(di Cesare Lanza per LaVerità) È il momento di guardarci allo specchio, nell’analisi del gioco d’azzardo. Siete stati all’inferno e siete riusciti a tornarne, limitando le ustioni? Porrò la domanda con parole più morbide: che tipo di giocatore siete? Vi darò subito un consiglio, che ho applicato utilmente a me stesso. Se entrate in un casinò, soffermatevi a osservare con pur minima attenzione le facce dei giocatori. Lo spettacolo probabilmente non vi piacerà. La maggior parte dei volti di chi è intento a giocare, è peggio ancora dei forsennati che corrono da un tavolo all’altro per puntare, non vi piacerà. Sono facce stravolte. Prive di equilibrio. Dolenti per le perdite. Esaltate per un momentaneo successo. O ansiose di puntare, puntare, puntare. C’è frenesia. Ma anche paura. E improvvisazione. E frequenti sono le urla di trionfo, ma anche più numerose quelle di angoscia e disperazione. Per quanto mi riguarda, ho pensato umilmente che ci vorrebbe un alto livello di presunzione per pensare che la mia faccia fosse diversa, nella concitazione del gioco. Quindi anche la mia faccia avrebbe fatto parte di uno spettacolo poco ammirevole: questa riflessione mi ha aiutato a restare con i piedi per terra e mi ha spinto a entrare sempre più raramente in una casa da gioco. Vi ho già parlato in pagine precedenti dell’impassibilità di Vittorio De Sica o dell’impertinenza beffarda del re Faruk. Con tutto il rispetto, in particolare per quel grandioso gentiluomo che fu De Sica, penso che ogni atteggiamento virtuoso (o brillante) nel gioco d’azzardo, sia finto, una maschera che ciascuno di noi si impone, anche faticosamente. Faites vos jeux! Vi propongo alcune categorie di giocatori e forse potrete riconoscervi in una di esse.
I PORTAFORTUNA
Spero che non vi siate trovati nella condizione di Paolo Villaggio (Fantozzi) in una spassosa scena di un film ambientato nel casinò di Montecarlo. Considerato un portatore di fortuna dal suo esigente e scorbutico datore di lavoro, intento a puntare fortissime somme al tavolo di chemin de fer. Finché la fortuna ha funzionato, Fantozzi era obbligato a stare incollato al suo aguzzino e a bere litri di acqua minerale frizzante. Poi, quando la fortuna di colpo cessò, Fantozzi fu insultato e cacciato in malo modo. Quindi, un consiglio: affrettatevi a svignarvela, se qualcuno si mette in testa che gli portate fortuna. E a vostra volta, evitate di fissarvi a pensare che un giocatore possa regalarvi la buona sorte (o, peggio, infliggervi jella).
I METODICI PERDENTI
Ho molta compassione per loro. Siedono ai tavoli verdi con una piccola dote e timidamente fanno piccolissime puntate. A volte seguono un metodo, un criterio di gioco consigliato chissà da chi, o studiato accuratamente con calcoli statistici o matematici, o letto da qualche parte su qualche manuale truffaldino. Ma un metodo per vincere non esiste, alla lunga: il banco è favorito dalle maggiori probabilità a suo vantaggio. Cosi la sommetta sparisce, e delle due l’una: il giocatore, per lo meno, ha perso solo ciò che aveva preventivato; oppure, stravolto dalla rabbia e dalla delusione, manda al diavolo metodi, calcoli e statistiche, mette in gioco altri soldi e poi ancora e ancora, fino a rischiare di rovinarsi. I giocatori più numerosi di questa categoria sono giocatrici, anziane signore: nessuno potrà mai incrinare la sicurezza che hanno coltivato per il loro metodo. A dispetto delle dolorose sconfitte.
GLI ESIBIZIONISTI
Ogni giocatore è un po’ esibizionista. Ma ci sono quelli che sono esibizionisti, prima ancora che giocatori. Hanno bisogno del pubblico, di spettatori, possibilmente di una grande platea. Non confesseranno mai la loro vanitosa debolezza, ma danno (e lo sanno) il meglio di sé stessi, quando sono circondati da un pubblico attento, quasi sempre composto da ammiratori, ma a volte anche critico e saccente. Ma qual è l’unico modo per attirare un pubblico numeroso? Fare puntate mozzafiato, al limite dei parametri consentiti. E questa è la croce e insieme la delizia del giocatore esibizionista: in fortuna, può anche sbancare il tavolo, con puntate sempre più alte, che eccitano gli spettatori. In sfortuna, rischiano di perdere tutto, per non deludere gli spettatori. Esibizionisti di solito sono i personaggi dello spettacolo, come George Clooney e Ben Affleck, la bella Pamela Anderson, a volte anche industriali di nome, come Paolo Mantovani, presidente della Sampdoria, che seduceva tutti, nelle sale di Montecarlo, ma anche ai suoi tempi il varesino Giovanni Borghi, fondatore dell’Ignis.
I VIOLENTI
Sono quelli che fanno poche puntate alte e fortissime, partendo da una riflessione per me esatta e di buon senso: puoi avere la supremazia sul banco grazie a pochi colpi e restringendo la sfida a un tempo breve; mentre, alla lunga, sei condannato a perdere. Vero. Verissimo. Ma qual è il momento giusto, cioè propizio, opportuno, per sparare questi colpi fortissimi? Questo è il punto delicato. C’è chi mi ha detto: «Tutto è casuale, qualsiasi momento può andar bene». Al contrario, altri: «Bisogna aspettare indizi di fortuna, se hai esperienza e intuito non mancano mai, sono evidenti. E a quel punto, spari, se sei convinto di essere entrato in un momento di fortuna». Un giocatore in particolare mi ha detto: «Che cosa fa un buon cacciatore? Mica spara a vanvera, col rischio di colpire un altro cacciatore. No: aspetta il momento giusto. Lui capisce quando arriverà». Bene: il ragionamento mi sembra sensato, anche se non ho esperienza di caccia. Tuttavia, un mio cugino partiva da Firenze per Venezia con una sommetta in tasca e, al casinò, la puntava tutta in un colpo, uno solo. In quale gioco? Non gli importava: secondo l’umore e l’istinto, alla roulette o a blackjack o a chemin de fer. Come dire: se va, va. Se non va, risparmi tempo e ti sei tolto il dente in un secondo.
I PROFESSIONISTI
Sono i più temuti dai casinò. Conoscono tutti i giochi, le regole, i trucchi e gli inghippi. Hanno esperienza. Di solito giocano su più tavoli, attenti e temibili. Non parlano con gli altri giocatori. Non barano, ma saprebbero farlo. Non lo fanno, ma non per un convincimento etico: non vogliono essere messi alla porta con ignominia. Non mi piacciono, i professionisti. Penso che ognuno nella vita debba avere la propria professione o il proprio mestiere, e svolgerlo bene; il gioco d’azzardo non può essere una occupazione alternativa. Peraltro anche per i professionisti è un’impresa molto dura, sfangarla al casinò. Non commettono errori, ma il vantaggio del banco, alla lunga, è un ostacolo insormontabile. Le macchine dei casinò non hanno anima, cuore, sentimenti, debolezze. I professionisti sì, anche se di solito non vogliono ammetterlo. È spettacolare la loro competenza. Un esempio: a chemin de fer all’inizio della partita sanno che dev’essere il croupier a mescolare le carte per ultimo, ma i giocatori hanno la facoltà di farlo, come penultimi. E spesso lo fanno, per scaramanzia.
GLI SPETTATORI
Mi è capitato durante un viaggio, in Olanda, molti anni fa, nel secolo scorso. Entro in un casinò importante e mi trovo in mezzo a una folla inaspettata. Penso: «Accidenti, quanto è popolare questo casinò». Mi avvicino ai tavoli, a fatica, e vedo che non ci sono puntate. Erano tutti spettatori, portati in visita con i pullman dei turisti alla casa da gioco. Una esperienza straordinaria. Puntavo solo io e tutti mi guardavano. Ma io non sono un vero esibizionista e la cosa mi dava un po’ fastidio. Gli addetti tuttavia erano bravi, esemplari, cortesi. Gli spettatori sono presenti dovunque, di solito appostati vicini ai tavoli della roulette o del blackjack, nei quasi è possibile fare puntatine irrilevanti.
I PRINCIPIANTI
Sarà una leggenda, ma anche a me è successo di vedere che i giocatori al loro debutto, al primo ingresso in un casinò, sono spesso baciati dalla fortuna. Così è stato anche per me, l’8 luglio 1963, a Sanremo: era il mio ventunesimo compleanno – allora questa era la data stabilita per la maggiore età – ed entrai con immediato godimento nel luogo consacrato da affascinanti letture e dai racconti dei miei zii materni, tutti giocatori di ampia esperienza. Non ero un principiante assoluto, a carte, svezzato dagli zii, me la cavavo discretamente. Ma in un casinò era la prima volta e anch’io ebbi fortuna. Vidi che alla roulette qualcuno giocava gli orfanelli, con cinque gettoni: non sapevo cosa fossero, ma uscivano di continuo. Sulla ruota sono numeri collocati su due settori opposti: 17,34 e 6 da una parte; 1, 20,14,31 e 9 dall’altra. Avevo fatto simpatia al croupier, forse proprio perché ero un pischello principiante, e lui vigilando sul gioco, mi spiegava se avessi vinto o no. Raccolsi un bel gruzzolo e me ne andai felice. I principianti faranno bene a puntare in compagnia di esperti fidati e corretti… Le possibilità di errori, e anche brogli ai loro danni, sono numerose.
I RISPARMIATORI
Questa è davvero bella. Una buona regola al casinò è di non avere la possibilità di giocare altro denaro, oltre a quello che abbiamo in tasca al momento della partenza. Niente fido, assegni, amici provvidenziali per un prestito, niente carte di credito. Un giorno a Montecarlo mi imbattei in un simpaticone, di cui poi diventai amico. Vinceva alla grande, andava a cambiare i gettoni alla cassa e ficcava i bigliettoni in una piccola cassetta di sicurezza, che portava con sé. «Ho lasciato la chiave a casa, così sono sicuro di portare indietro un po’ di soldi…». Mi complimentai con lui: «Ottima idea!». Vinceva con puntate incredibili. Ma poi, come succede, cominciò a perdere e lo persi di vista. Dopo due ore in bagno e lo trovai lì, il simpaticone: sudato e scalmanato, con le mani e con i piedi tentava di scardinare la cassetta. «Niente da fare!», mi gridò disperato col fiato che gli restava. «Ma adesso esco e se trovo un ferramenta aperto, glielo faccio vedere io…». Non so come sia finita, non ho avuto la faccia tosta di chiederglielo, in seguito. Ma non l’ho mai più visto, con una cassetta di sicurezza in mano. Una domanda finale: in quale tipo di giocatore vi siete riconosciuti? Ce ne sono molte altre, lo so.