Andrea Turkalo ha dedicato la vita agli elefanti di foresta, nel cuore dell’Africa, sempre più minacciati dai bracconieri e dalla distruzione del loro habitat.
Ha passato 27 anni in un angolo remoto della Repubblica Centrafricana, per studiare gli elefanti di foresta. Il suo laboratorio all’aperto era una piattaforma al bordo di una radura, nella zona protetta di Dzanga-Sangha. «Un vero paradiso, dal punto di vista dello studio, perché gli animali sono sempre presenti e ben visibili e si possono osservare i loro comportamenti in un contesto naturale».
La signora degli elefanti è Andrea Turkalo: per anni ha lavorato per la Wildlife Conservation Society (WCS), organizzazione con l’obiettivo di tutelare le ultime zone incontaminate del mondo, e ha iniziato il suo studio degli elefanti di Dzanga nel 1990. È stata tra i fondatori dell’Elephant Listening Project, del Cornell Lab of Ornithology, che studia le vocalizzazioni degli elefanti di foresta. Da un paio d’anni ha lasciato la sua piattaforma ed è tornata negli Stati Uniti, ma «anche dopo il ritiro continuo ad analizzare i dati raccolti in Africa», ci racconta.
VITA IN FAMIGLIA. Nessuno ha passato tanto tempo quanto lei a osservare gli elefanti di foresta (Loxodonta cyclotis), diffusi nelle giungle del centro dell’Africa, dove si nutrono di corteccia, foglie e frutti, e hanno un ruolo importantissimo nel disseminare i semi: alcune piante senza di loro scomparirebbero.
Sono più piccoli degli elefanti africani (Loxodonta africana) della savana, pur raggiungendo un rispettabile peso di 2-4 tonnellate. «E vivono in gruppi familiari più piccoli», spiega Andrea Turkalo: sono costituiti in genere da una femmina adulta, con figlie femmine e figli maschi non ancora adulti. Una volta cresciuti, questi andranno a vivere per un po’ con altri maschi e poi da soli, avvicinandosi ai gruppi familiari solo nella stagione riproduttiva.
«C’è un’altra differenza, che abbiamo scoperto a Dzanga: si riproducono molto più lentamente degli altri elefanti africani, il che li rende ancora più vulnerabili al bracconaggio, anche considerando che il loro avorio, più duro e rosato, è il preferito dagli artigiani che lo lavorano», aggiunge la studiosa. Le femmine infatti hanno il loro primo cucciolo dopo i vent’anni (dieci anni dopo le “cugine” delle savane) e hanno un figlio ogni 5 anni.
CI SI VEDE IN PIAZZA? Dalla sua postazione, Turkalo ha identificato migliaia di elefanti e seguito le vite di alcuni di loro dalla nascita alla maturità. «Ho identificato circa 4.000 individui, usando dalle foto ai disegni delle orecchie, che per gli “strappi” hanno un profilo unico. Così, tracciandoli per decenni, abbiamo scoperto di più sulla loro riproduzione e organizzazione familiare. E sui loro movimenti».
Il punto di osservazione di Turkalo era, come abbiamo detto, una piattaforma di osservazione ai margini della Dzanga Bai. «Bai è una parola nella lingua del popolo pigmeo Bayaka e significa radura: queste aperture, nelle foreste africane, attraggono molte specie. Nell’area paludosa di Dzanga Bai arrivano gli elefanti, per assumere i minerali con cui integrano la loro dieta e stabilire rapporti sociali, ma anche sitatunga e bongo, due antilopi, bufali e vari altri animali».
INFRASUONI PER TENERE I CONTATTI. Nella zona, gli scienziati studiano anche le voci degli elefanti. «Oltre alle vocalizzazioni udibili, usano gli infrasuoni (onde di frequenza inferiore a 20 Hz, che il nostro orecchio non percepisce ndr). Queste basse frequenze viaggiano per anche un paio di chilometri e danno agli animali l’abilità di tenersi in contatto e di localizzare i membri della famiglia, visto che riconoscono le voci dei “parenti”. Penso che gli elefanti passino un sacco del loro tempo ad ascoltare».
Ora, però, gli elefanti di foresta sono particolarmente a rischio. «La popolazione è calata del 60% dal 2000 al 2012. Sono cacciati per l’avorio, ma in questo contesto di povertà anche per la carne (la Repubblica Centrafricana è tra i paesi più poveri del mondo ndr). E poi c’è la perdita del loro habitat, per il taglio degli alberi e l’espansione degli insediamenti. Prima, c’erano isole di umani circondate dagli elefanti; ora ci sono isole di elefanti attorniate dagli uomini…».
FUGA IN BARCA. Turkalo è stata testimone di questi cambiamenti e ha dovuto affrontare l’instabilità della regione. Nel 2013, quando le milizie ribelli dell’alleanza Séléka hanno preso il controllo della capitale Bangui, è stata costretta a fuggire in barca lungo un fiume e a rifugiarsi in Congo. «I ribelli Séléka sono arrivati, hanno saccheggiato il campo e ucciso 26 elefanti in due giorni, prendendo le zanne. Sono tornata nel 2014 e ho lasciato Dzanga Bai nel 2017: un posto unico, tanto da farmi affrontare tutte le difficoltà. Ora cerchiamo qualcuno che continui a stare lì».
Giovanna Camardo, Focus.it