Prima del lockdown le imprese che adottavano forme di smart working erano 2 su dieci, adesso sono il 45 per cento. A osservarlo è l’indagine “Smart working, necessità o vera opportunità per le Pmi?”, realizzata dal Centro Studi Apindustria interrogando un campione rappresentativo di 100 imprese associate. «Tendenzialmente interpretato come modalità per conciliare più facilmente famiglia e lavoro – si legge nello studio – lo smart working veniva adottato prevalentemente dalle donne nella fase pre pandemica. La forzata adesione di questa forma di lavoro durante la fase di sviluppo dell’emergenza sanitaria ne ha oggi di fatto riequilibrato l’adozione da parte di donne e uomini». Il risultato è che se prima del lockdown il 79% non aveva alcun lavoratore in modalità smart working, oggi questa percentuale è scesa al 55 percento. Non solo, se prima del Covid solo il 22% delle aziende aveva un po’di smart working, oggi questa percentuale è salita al 45%. Tra le figure più impiegate in modalità smart amministrativi, comunicazione e marketing, meno i commerciali e, molto meno, ovviamente, gli operai o gli addetti agli alla logistica. “In generale – osserva il Centro Studi – i ruoli più carichi di competenze digitali rappresentano anche i ruoli più delocalizzabili tramite smart working, dimostrando quindi una connessione tra i due aspetti”. Tra i limiti dello smart working individuati dalle imprese la risposta (possibile più d’una) quantitativamente più significativa è stata “la mancanza di relazione con altri dipendenti” (56%). Seguono “la limitata/assente capacità di connessione a internet” (39%) e “la mancanza di contatto continuo con il proprio superiore” (36%). Per quanto concerne i vantaggi le imprese si dicono convinte che ci possa essere un potenziamento di produttività (55%). Positivi anche i giudizi sulla motivazione, un po’meno sulla capacità di autogestione del lavoratore. «L’adozione dello smart working, laddove possibile, è sicuramente positiva – afferma Douglas Sivieri, presidente di Apindustria – il dato veramente preoccupante è quello relativo all’assenza di connessione a internet in quattro casi su dieci. È un dato che possiamo leggere anche per la didattica a distanza a scuola e per le difficoltà avute da ragazzi e famiglie. Un problema di infrastruttura digitale enorme che deve essere messo al primo posto di qualsiasi agenda”.