Durante i mesi della pandemia, ha avviato una decisa promozione dei suoi brand. E società specializzate nel portare aziende a vendere sulla piattaforma mettono in dubbio che il loro posizionamento rispecchi i riscontri che arrivano dai consumatori. L’Antitrust europeo potrebbe incriminare la società per aver violato le regole della concorrenza, ma per ora da authority e regolatori sono arrivati solo buffetti
“Marchi propri”, due parole che se pronunciate dal colosso sempre più colosso Amazon mettono i brividi a qualsiasi produttore. Con i suoi 4000 pacchi spediti ogni minuto, un soffio di Amazon ha l’effetto di una bufera su tutto l’universo delle vendite on line e del commercio in generale. Ma l’ultima mossa del gigante statunitense è qualcosa di più.
Una virata strategica che potrebbe risultare davvero destabilizzante non solo per i concorrenti ma anche, e soprattutto, per i fornitori che hanno sinora fatto affari attraverso la piattaforma. Durante i mesi della pandemia, Amazon ha avviato, con discrezione, una decisa promozione di marchi propri, che ora compaiono spesso come prima opzione di acquisto. C’è ad esempio “Belei” per la cosmesi, “Solimo” che vende un po’ di tutto, dai rasoi al caffè, “Lifelong” per il cibo per animali domestici, “Amazon basics” i prodotti per la casa, “Amazon essential” per l’abbigliamento. In tutto i marchi propri del gruppo sono ben 45 e coprono 243mila prodotti. Ancora pochi rispetto a quelli disponibili sulla piattaforma ma in costante crescita.
Intervistato da Propublica, sito che ha dato ampio approfondimento alla svolta, l’ex consulente di Amazon Tim Huges critica questa scelta poiché in contraddizione con quello che sinora è stato il mantra del gruppo di Bezos: “il consumatore prima di tutto”. La spinta ai marchi propri sembra invece rispondere ad altre logiche, non sempre legate al rapporto qualità prezzo e alla soddisfazione degli utenti misurata dagli algoritmi. Il gruppo di Jeff Bezos naturalmente afferma che i suoi prodotti sono in evidenza perché preferiti dai consumatori. Ma società specializzate nel portare aziende a vendere sulla piattaforma mettono in dubbio che il posizionamento dei marchi propri rispecchi esattamente i riscontri che arrivano dal pubblico.
La verità è che con i suoi oltre 2 miliardi di utenti, 150 milioni dei quali fidelizzati con l’abbonamento “Prime” di cui l’azienda conosce in pratica vita morte e miracoli, la capacità di orientare scelte di consumo su larghissima scala è enorme. Non c’è neppure bisogno di espliciti e tradizionali messaggi pubblicitari. Ci sono gli algoritmi ma ci sono anche i soldi pagati dai fornitori per ottenere spazi sponsorizzati e in maggiore evidenza. Perché, spiegano gli esperti, “se sei a pagina due, sei morto”. Per Amazon invece è, ovviamente, tutto gratis.
I mesi della pandemia hanno ulteriormente rafforzato, se mai ve ne fosse bisogno, il ruolo di Amazon come dominante infrastruttura globale del commercio. Mentre gran parte delle imprese di tutto il mondo combattevano contro l’incubo del fallimento, il gruppo ha assunto 100mila persone in più per fronteggiare il sovraccarico di lavoro dettato dall’emergenza. Ha fornito liquidità ad aziende fornitrici, decidendone la vita o la morte. Il gruppo, che peraltro fa buona parte dei suoi utili anche come uno dei principali fornitori mondiali di spazi cloud, è passato indenne dalla fase di turbolenza dei mercati di inizio anno. Anzi in questi sei mesi il valore delle azioni è salito di circa il 40% e la capitalizzazione ha sfondato la soglia record dei 1.300 miliardi di dollari, quasi quanto il Prodotto interno lordo italiano. La ricchezza del fondatore Bezos che ha in mano l’11% della società, viaggia ormai nell’iperspazio e solo negli ultimi tre mesi è cresciuta di altri 36 miliardi di dollari.
Cosa può fermare la corsa e il crescente potere di Amazon? Difficile dirlo. Al momento gli unici a mettere bastoncini tra le ruote sono autorità antitrust e regolatori. Giovedì è trapelata la notizia che l’Antitrust europeo potrebbe incriminare la società per aver violato le regole della concorrenza per il modo in cui vengono trattati i fornitori terzi: secondo l’Ue, scrive il Wall Street Journal, Amazon raccoglie i dati dei venditori terzi e li usa per competere contro di loro. Azioni legali di singoli soggetti non sono da escludere. E’ possibile che prima o poi una qualche regolamentazione più severa contro i monopoli incrini il potere dei giganti del web. Progetti in tal senso rimbalzano da anni nelle stanze della Casa Bianca.
Le battaglie in punta di diritto sono però difficili da vincere, scardinare le logiche di complessi algoritmi non è affar semplice. Dalle autorità antitrust per ora sono arrivati solo buffetti. La verità è che al momento, gli unici veri giudici della nuova strategia Amazon saranno i suoi clienti. Il gruppo vive una specie di perenne luna di miele con i suoi utenti che mostrano un altissimo livello di soddisfazione per il servizio offerto. Un rapporto solido, ma uno sgarro e questo incantesimo potrebbe rompersi. Il mondo è pieno di corteggiatori dei (portafogli dei) consumatori. Di algoritmi capaci di prevedere l’incostanza e l’imprevedibilità dei sentimenti ancora non vi è traccia.
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